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giovedì 29 gennaio 2015

Weisz in campo di lavoro



(notizie tratte da Matteo Marani, Dallo scudetto ad Auschwitz. Storia di Arpad Weisz, allenatore ebreo)
 
Curriculum. Arpad Weisz calciatore poi allenatore, tre scudetti di cui uno sulla panchina dell'Inter e due su quella del Bologna, in tasca anche il Trofeo dell'Esposizione di Parigi, una sorta di Champions League, primo straniero ad aggiudicarsi un campionato in Italia, e primo assoluto a vincere col sistema del girone unico nel 1929-1930.
Bologna. A Bologna è presidente Renato Dall'Ara che s'è preso la squadra l'anno prima, costretto da Mussolini.
Stipendio. Stipendio di un calciatore di serie "A" nel 1936: tremila lire al mese (2700 euro attuali).
Vita. Nato il 16 aprile del 1896 a Solt, cento chilometri da Budapest, figlio di due ebrei, arriva in Italia a 28 anni per giocare nel Padova, poi passa all'Inter ma si infortuna e diventa allenatore. Sposato con Elena, ebrea ungherese, due figli: Clara e Roberto.
Olanda. Il decreto 1381 del 7 settembre 1938 con cui l'Italia costringe la famiglia di Weisz ad espatriare. Destinazione: Parigi, poi l'Olanda per allenare il Dfc.
Calcio. Il calcio di allora in Olanda: "totalmente dilettantistico. Non esistono giornali specializzati come in Italia, nessun calciatore svolge u unico lavoro. Il calcio è un fenomeno dopolavorista, da diporto, per il quale si muovono alla domenica poche migliaia di tifosi.
Olandesi. "Non saremmo stati in grado di arrestare neppure il dieci per cento degli ebrei senza l'aiuto degli olandesi" (l'ex SS WillyLages).
Limitazioni. Limitazioni imposte agli ebrei olandesi dai nazisti: indossare la stella gialla; coprifuoco dalle sei alle dieci della mattina; acquisti e spostamenti sui mezzi pubblici solo tra le due e le cinque di pomeriggio; divieto di entrare in case non ebree, eccetera.
Foto. Weisz cercava di non farsi fotografare mai. Dice Bergeijk, difensore del Dfc: "Era una persona timida, ma molto cortese con tutti noi. Era spaventato, cercava di evitare ogni presenza nelle fotografie. Quando parlava dell'Italia era ancora triste".
Arresto. E' il 2 agosto del 1942 quando la Gestapo si presenta a casa di Weisz. Arrestati e trasferiti in un campo di lavoro. A Westerbork, nella zona nord dell'Olanda.
Westerbork. A Westerbork i prigionieri sono sottoposti alla trafila iniziale: la registrazione dei documenti, l'assegnazione di una baracca, il cosiddetto "blocco"; quindi, l'ispezione dei capelli e quella del corpo. Nudi, insieme agli altri, in uno stanzone, stanno gli uomini; in un altro, le donne. A ognuno è stato concesso di portare una valigia. Westerbork non ha camera a gas. Non è un campo di sterminio. E' un campo di passaggio. Ma racchiude i due aspetti salienti della deportazione: l'apparente normalità e la sospensione delle vite e dei tempi. Nel campoi va in scena una routine che ricopia quella abituale: matrimoni, nascite, un teatro dove si tengono opere in tedesco e una baracca-scuola dentro cui si affacciano, probabilmente, sia Roberto che Clara Weisz. Ci sono alcune botteghe, un ospedale una libreria e persino un campi da calcio, con un filmato dell'epoca che mostra una partitella seguita da tanti sostenitori a bordo campo.
Auschwitz. Ad Auschwitz i prigionieri hanno stelle colorate: gli omosessuali, il rosa; gli zingari, il nero; i politici, il rosso; i testimoni di Geova, il viola; i prigionieri comuni, il verde; gli ebrei, il solito giallo.
Lavatoi. Ad Auschwitz Elena Weisz e i due figli vengono subito sistemati nella fila di sinistra, quella diretta alle camere a gas. Seguono le indicazioni: lavarsi, mangiare un buon pasto caldo ed affrettarsi perché non si raffreddi. Ricevono asciugamani e sapone. Sulla parete c'è scritto "Lavatoio".
Arpad. Di Arpad Weisz si perdono le tracce, forse è in un campo di lavoro. Si sa solo che morì il 31 gennaio 1944.

giovedì 22 gennaio 2015

Giuda, Amos Oz

Il libro libro dello scrittore israeliano è un grande romanzo che coinvolge non solo per lo stile fresco e invitante restituito egregiamente dalla traduttrice (E. Loewenthal), ma anche per la ricchezza delle problematiche che mette in campo narrando le vicende che coinvolgono i tre personaggi principali, magnificamente tratteggiati nelle loro sembianze fisiche, nei loro profili culturali e nei loro tratti psicologici.
La storia è ambientata tra la fine del 1959 e l'inizio del 1960, cioè a dieci anni dalla guerra che è seguita alla proclamazione dello Stato di Israele, in una suggestiva Gerusalemme, piovosa e irrigidita dai rigori dell'inverno. I tre personaggi principali del romanzo sono Shemuel, un giovane sui venticinque anni, corpulento, timido, sensibile, asmatico, "propenso tanto all'entusiasmo quanto alla precoce delusione". Reduce da una delusione amorosa e in difficoltà anche per un dissesto economico subito dalla famiglia, abbandona l'Università e trova lavoro e sistemazione in una casa abitata da un arguto ex professore di storia, ora vecchio e invalido che deve essere accudito: Gershom Wald, che vive con la vedova del figlio, Atalia, una donna quarantacinquenne, attraente, sensuale, segnata dalla vita e in lotta con il mondo. A questi tre personaggi si affiancano altre due figure chiave, due spettri potremmo dire, che non sono personaggi della storia narrata, ma che giocano un ruolo fondamentale nella vita dei protagonisti e nelle problematiche che Oz è interessato a discutere. Uno è Giuda Iscariota, l'apostolo che "ha tradito Gesù", che è oggetto delle appassionate ricerche di Shemuel che ha iniziato una tesi di dottorato intitolata "Gesù in una prospettiva ebraica"; l'altro è il padre di Atalia, ormai morto da anni, personaggio storico inventato da Oz, che è presentato come fautore di una prospettiva sionista antinazionalista e antistatalista, di una originale visione politico-culturale, sconfitta dalla storia.
Su questo spartito di base l'autore dà spessore alla sua narrazione focalizzando diverse decisive problematiche, che non è interessato a risolvere, ma piuttosto a presentare nella loro irriducibile complessità, attraverso la polifonia di voci che prendono corpo e si confrontano con i suoi personaggi.
L'altro tema importante del libro è quello che viene sviluppato sulla base degli interessi del giovane Shemuel che è impegnato in una ricerca sul Gesù in una prospettiva ebraica. Qui diventa centrale il problema dei rapporti fra Gesù e il mondo ebraico, tra ebraismo e cristianesimo e l'autore, rivisitando molti momenti della riflessione ebraica sulla figura di Cristo, focalizza l'attenzione sull'apostolo Giuda che entra nella ricostruzione che il giovane Shemuel fa della passione di Gesù con un ruolo nuovo e inaspettato.
Infine un terzo nucleo tematico è introdotto da Oz attraverso la figura di Shaltiel Abrabanel, padre di Atalia, personaggio storico inventato che assume un ruolo fondamentale per il discorso che l'autore vuole aprire sull'origine dello Stato di Israele e sulle tragiche vicende storiche che hanno segnato e continuano a segnare la sua esistenza. Abrabanel è presentato come il politico sionista che dichiarandosi contro la nascita di uno Stato ebraico si era scontrato con la prospettiva di Ben Gurion e per questo era stato poi emarginato e accusato di essere un traditore. Il suo progetto era quello di un convivenza tra arabi ed ebrei senza Stati, perché respingeva l'idea "di un mondo diviso in centinaia di Stati con frontiere, filo spinato, passaporti, bandiere, eserciti e monete diverse", la trovava un'idea arcaica e omicida. Prevedeva che la nascita di un piccolo staterello ebraico sarebbe stata condannata a un eterno ciclo di violenza e di odio. Prevedeva, cioè, quello che poi è successo. Oz costruisce il suo personaggio per aprire u  problema non per risolverlo, come è nella tradizione dei pensatori ebrei. Nel libro il vecchio Wald, che mette in guardia contro il pericolo dei programmi politici che vogliono riscattare l'umanità intera, afferma in ina delle sue conversazioni, in una prospettiva antitetica rispetto a quella di Abrabanel, che Ben Gurion è stato il più grande leader ebreo della storia.
Quindi anche su questo punto l'obiettivo principale dell'autore è quello di evidenziare la inestricabile complessità del problema e quindi di evitare di formulare giudizi definitivi, di condannare o di assolvere senza vedere, capire le ragioni di tutte le parti in causa
 
 
 
 
 
 
 

mercoledì 14 gennaio 2015

Je suis CHARLIE


La Francia ha seppellito le sue vittime. Ma l'allarme terrorismo risuona forte: "Non possiamo prevenire nuovi attacchi", ha dichiarato il capo dell'antiterrorismo Ue, Gilles de Kechove, aggiungendo che le prigioni "sono incubatori di una massiccia radicalizzazione".
Secondo Rob Wainwright, direttore di Europol ci sarebbero fra i 3mila e i 5mila 'fighters', ossia europei che sono andati a combattere in Medio Oriente per la jihad e che potrebbero compiere attentati terroristici una volta tornati in patria.
Per quel che riguarda le modalità di reclutamento, Wainwright ha spiegato che "i social network costituiscono un utile strumento" anche per la propaganda, e vengono utilizzati "in modo molto più aggressivo" che non in precedenza: "abbiamo bisogno di una cooperazione più stretta e produttiva fra le autorità e le aziende tecnologiche", ha concluso.
A Parigi, si è svolta una cerimonia in onore dei tre poliziotti uccisi a Parigi e Montrouge e in contemporanea a Gerusalemme ci sono stati i funerali dei quattro ebrei uccisi nel bagno di sangue scatenato dai fratelli Kouachi e da Amedy Coulibaly.

sabato 3 gennaio 2015

Dona Flor e i suoi due mariti, Jorge Amado

 
Questo romanzo può essere paragonato ad un quadro naif: pieno di colore, che raffigura un mercato con gente che compra, con merce esposta, profumi di spezie, rumori di gente che parla che contratta che guarda curiosa…….tanta gente che si sposta con bei vestiti colorati, che parla a voce alta con il loro accento particolare. I protagonisti sono tre: Donna Flor, il suo primo marito Vadinho, e il suo secondo marito il dott. Teodoro. Attorno a loro ruotano tanti personaggi descritti magistralmente dall’autore.
(pag556)...Un amore così grande che resiste oltre la mia vita disastrosa, così grande, che, dopo di non essere, sono tornato ad esistere, e sono qua. Per darti gioia, sofferenza e godimento, sono qui. Ma non per restarti accanto, essere la tua compagnia [...]per questo no, amore mio. Questo è compito del mio nobile collega di letto.....e migliore di lui non ne troverai...io sono il marito della povera dona Flor, colui che viene a risvegliare la tua ansia, a mordere il tuo desiderio, nascosti nel fondo del tuo essere, dietro al tuo ritegno...lui si occupa della tua virtù, del tuo onore, del tuo rispetto...lui è il tuo volto mattutino, io sono la tua notte, l' amante di fronte al quale non hai né possibilità di fuga, né forza. Siamo i tuoi due mariti, i tuoi due volti, il tuo sì e la tua negazione. Per essere felice hai bisogno di tutti e due. Quando eri sola con me, avevi il mio amore ma ti mancava tutto, e quanto soffrivi! Poi avesti solo lui: avevi tutto, non ti mancava nulla, e soffrivi ancora di più. Ora, si, sei dona Flor intera, come devi essere......(
Il romanzo è una divagazione di cucina baiana, ricavata dalle ricette o dalle lezioni della protagonista, che per mantenersi fa la maestra di cucina. Ambientato nella capitale dello stato di Bahia, nei primi anni ’60, il libro è un affresco della vivace vita dei quartieri popolari baiani. Inizia con la morte di Vadinho, allegro e scapestrato giocatore che si accascia improvvisamente, ballando per la strada a carnevale, e lascia vedova Flor, moglie innamoratissima ma in continua tribolazione per la vita sregolata del marito. Nella prima parte è raccontata in flash back la storia dell'amore fra Flor e Vadinho, fra tradimenti, fughe e dissipatezze di lui, alternati con rari momenti di fortuna e splendore.
Nella seconda parte viene rappresentato il ritorno ad una vita pacata ed ordinata della vedova ma anche il crescendo di nostalgia per gli amplessi appassionati del marito, carenza di cui Flor, pudica e morigerata, si vergogna moltissimo e di cui soffre in silenzio. Nello stesso tempo è corteggiata da un pretendente, un farmacista pacato e religioso. I due finiscono per sposarsi. Ma, benché innamoratissimo e pieno di premure, dal punto di vista sessuale il nuovo marito non soddisfa del tutto Dona Flor, che sempre più rimpiange Vadinho.
Nella terza parte, gli eventi si ribaltano e prendono un andamento fantastico, quando lo spirito di Vadinho ritorna sulla terra e incomincia a stuzzicare Dona Flor. Solamente lei vede Vadinho, che quando sta con Dona Flor sembra essere capace di realizzare le stesse cose che faceva a letto quando era vivo. Dona Flor esita, se rimanere fedele al suo nuovo marito o cedere allo spirito del primo.
Spesso in Jorge Amado il tessuto del romanzo è corale, ricco di personaggi secondari coloriti, ma in questo caso tale qualità raggiunge il massimo grado per l'ambiente in cui vive Flor, un quartiere piccolo-borghese dove un vero e proprio coro di comari sorveglia, commenta e propala ai quattro venti ogni minima vicenda della vita dei vicini.
Con pochi tratti felici l'autore dà vita a tutta una galleria di personaggi secondari:
Dona Norma, materna amica, confidente e protettrice di Flor, nel suo modo di essere e di agire non esisteva la benchè minima sfumatura di artificio; si sentiva un po’ responsabile di tutti, era la provvidenza del quartiere: una specie di pronto soccorso del vicinato. Da ogni parte correvano a battere alla sua porta.
Zè Sampaio marito di Donna Norma che aveva in orrore gli impegni sociali di qualsiasi specie, ma particolarmente le cerimonie funebri, veglie, cimiteri, messe di suffragio il che spingeva dona Norma a gridargli: “Quando muori tu, Sampaio, non ci sarà un cane neppure per portare la bara….Sarà una vergogna.”
Dona Gisa, la yankee innamorata del Brasile dove si mantiene insegnando inglese e tenta invano di predicare ai retrogradi abitanti di Salvador una libertà sessuale che lei stessa non mette in pratica,
Dona Rozilda la pestifera e ambiziosa madre di Flor, autrice di scenate epiche contro Vadinho, “Quella non è una donna è un mercoledì delle ceneri, stermina il buon umore di chiunque”. Parole del genero Morais il meccanico che risiedeva già da vari anni in un sobborgo di Rio de Janeiro. Si rifiutava di rimettere piede a Bahia, fosse pure in visita, finchè quella megera appestasse i luoghi. Donna Rozilda abitava col figlio sposato impiegato delle Ferrovie, amareggiando la vita della nuora, schiava al suo dittatoriale comando.
Dona Magnolia, venere di periferia che tenta invano di sedurre l'integerrimo farmacista, il languido "Principe" abile truffatore specializzato in vedove, la giovane e romantica Marilda dalla voce d'usignolo, che sogna di cantare alla radio; e poi tutte le allieve di Flor, i compagni di bagordi di Vadinho, la società benpensante e pretenziosa in cui Flor viene introdotta dalla sua seconda unione.
Presentato al Festival di Taormina del 1977, il film tratto dal romanzo è intanto divenuto il campione assoluto degli incassi in Brasile. Con l’occhio agli aspetti più corrivi e pittoreschi della vicenda, l’ha diretto un regista poco più che ventenne, Bruno Barreto, figlio di un produttore e famoso per aver realizzato il suo primo cortometraggio a 11 anni. Naturalmente i cineasti di ciò che rimane del Cinema Novo non amano Barreto e considerano Donna Flor e i suoi due mariti un’operazione commerciale a rimorchio della commedia all’italiana. È innegabile che il film rappresenta una versione riduttiva del testo d’origine (e forse era inevitabile, considerata anche la mole del romanzo: oltre 500 pagine), ma diremmo che il regista è riuscito a far vivere un quadro brasiliano magico e colorito. Fra le miserie delle favelas e la frenesia perpetua del carnevale, c’è una repressione secolare che lascia intravedere le sue ferite: e la risposta che offre il film, soprattutto attraverso l’immagine palpitante della bella protagonista Sonia Braga, è improntata a un vitalismo ironico e sfrontato.
Tullio Kezich, Il nuovissimo Mille film. Cinque anni al cinema 1977-1982, Oscar MondadoriIl giovane Bruno Barreto (classe 1955) sceglie il noto romanzo (1966) di Jorge Amado per il proprio esordio nel lungometraggio e sbanca il botteghino brasiliano adottando il punto di vista "godereccio", sboccato e colorito del personaggio di Vadinho: amando François Truffaut (cioè L’Uomo Che Amava Le Donne), aderisce alla vitalità festosa, anche se egoista, di un “Grande figlio di puttana”, direbbe Lucio Dalla, che per il gioco e le donnacce trascura la moglie. Di riflesso, anche Barreto trascura la figura femminile ma, in questa sua sapida (se non estrosa), colorita, piccante, fortemente carnale "pietanza" (non a caso indugia sulla preparazione di alcune specialità culinarie), il regista (con Amado) insegna che la felicità non ha regole, che l'amore cieco basta a se stesso e diventa insindacabile nel momento in cui una moglie s'accorge che l'essere succubi del temperamento focoso di un uomo è molto meno noioso di una vita esangue accanto ad un compagno ricco e premuroso. La seconda parte vira decisamente nel territorio della commedia (scollacciata) all'italiana, con quel suo fare farsesco e satirico, fustigatore della morale corrente (con il ménage à trois, i desideri repressi di una moglie), che non disdegna le capatine nel fantastico (e nell'esoterico, dato che siamo in Brasile, “Il paese del Carnevale”, nel cui folklore tutto è possibile). Magnifica Sonia Braga, regina delle telenovelas che l’anno prima aveva già interpretato la Gabriela di Amado per il piccolo schermo. Musiche di Chico Buarque de Hollanda.
Qual è l’ideale di uomo che ha la prerogativa di rendere felice una donna? L’uomo ardente e passionale, istintivo e selvaggio incline però, per natura, al tradimento e ai vizi, oppure l’uomo equilibrato e fedele, stimato e serio ma che, proprio a causa di queste caratteristiche, risulti noioso e fin troppo misurato?
Dona Flor si ritrova più volte a riflettere su queste considerazioni, avvertendo il conflitto interiore tra le bramosie del corpo e la razionalità della mente, così come tra i suoi più intimi e personali desideri e l’influenza dei giudizi altrui, che fungono da eco collettivo alle vicende della sua esistenza.
Magnifico affresco di vita sudamericana del secolo scorso, colorato e vaporoso, surreale e magico, condito di credenze pagane e sensualità genuine. Dalla narrazione corale di Amado, arrivano al lettore gli odori speziati della cucina brasiliana, la sublime leggerezza dell’indole del sud, chiassosa e goduriosa, nonché le sobrie atmosfere borghesi di altri tempi, a far da contrappeso ad un mondo variopinto e popolare che colora le vie di Bahia, e le sue animose creature. In tutto questo bailamme di pettegolezzi, riflessioni ardite e deliziose virtù culinarie, Dona Flor scoprirà alla fine l’armonia perfetta, consegnandoci la risposta giusta. Perchè Flor è una donna vera, buona di quella bontà che scalda il sud del mondo e ricca di quella saggezza tutta femminile che conquista nel profondo, facendoci gioire e commuovere per le sue stesse adorabili, vitali conflittualità.
Il Candomblé è una religione afrobrasiliana praticata prevalentemente in Brasile ma anche in stati vicini come l'Uruguay, il Paraguay, l'Argentina e il Venezuea. Mescolanza di riti indigeni e credenze africane, questa religione consiste nel culto degli Orixa, divinità di origine totemica e familiare, associati ciascuno ad un elemento naturale, e si basa sulla fede in un'anima propria della natura.
Questa religione è giunta in Brasile dall'Africa, portata da sacerdoti africani e fedeli che erano stati deportati come schiavi. Viene chiamato anche Batuque, specialmente dopo il diciannovesimo secolo, quando il Candomblé si è diffuso maggiormente. Entrambe le parole derivano da lingue della famiglia Bantu. In particolare la parola Candomblé sembra significare “danze di negri”, ed è anche il nome di un antico strumento.
Diffusione
Benché originariamente la sua diffusione fosse limitata alla popolazione in schiavitù, fosse bandito dalla Chiesa cattolica, e perfino criminalizzato da alcuni governi, il Candomblé è sopravvissuto per secoli, e si è diffuso considerevolmente dopo la fine della schiavitù nel XIX secolo. Ora è una religione ampiamente diffusa, con seguaci appartenenti a tutte le classi sociali, e decine di migliaia di templi, o terreiros. Durante un recente censimento, circa due milioni di Brasiliani (1,5 % della popolazione) si sono detti seguaci del Candomblé. Nella cultura brasiliana le religioni non sono avvertite reciprocamente esclusive, e pertanto molte persone che praticano abitualmente altre confessioni partecipano a rituali del Candomblé, anche regolarmente; le divinità, i riti, e le festività del Candomblé sono ora parte integrante del folklore brasiliano.

Storia

La nascita e lo sviluppo istituzionalizzati di questa religione in Brasile sono abbastanza recenti. Il Candomblé si sviluppò in Brasile dalle conoscenze dei sacerdoti e delle sacerdotesse africani giunti nel Nuovo Mondo come schiavi nel periodo che va dal 1549 al 1888. In questo periodo i missionari cattolici convertirono in massa gli schiavi, i quali tuttavia mantennero sotterraneamente vive le loro tradizioni religiose. Fu in questo periodo che il culto degli Orixas venne associato a quello dei santi cattolici, per cui ancora oggi a ciascuna delle divinità del Candomblé corrisponde una figura del culto cristiano: ad esempio ad Oxala, dio della creatività e figlio della divinità suprema Olorum corrisponde Gesù, e a Omolu o Obaluiae, dio guaritore delle epidemie, corrisponde San Lazzaro. Durante il periodo finale della tratta degli schiavi (ultima decade del XIX secolo), gli schiavi portati in Brasile dai portoghesi si trasferirono nelle città, dove aumentarono notevolmente le loro possibilità di aggregazione, confronto e scambio, anche fra diverse etnie (un contatto impossibile nelle fazendas, in cui gli schiavi di diversa provenienza erano spesso suddivisi in diverse senzala). Allo stesso tempo, gli ex-schiavi si ritrovarono liberi dall'imposizione del cattolicesimo. Sulla base di questi nuovi stimoli, si formarono nuovi gruppi di culti, spesso organizzati in irmandades ("confraternite").
A Salvador di Bahia, definita da Roger Bastide la “Roma Nera”, a causa del grandissimo numero di schiavi deportati nell'ultimo periodo della tratta, nacque il Candomblé, la religione afro-americana che più si è mantenuta fedele alla matrice d'origine, reinventata e riformulata in Brasile dagli schiavi.
Oggi il governo brasiliano riconosce e protegge il Candomblé e sovvenziona certi terreiros, specie a Salvador da Bahia.
Il Candomblé ha avuto un enorme sviluppo negli ultimi dieci anni, infatti, oltre al Brasile, sta colonizzando altri stati nel mondo come nel Portogallo a Lisbona, come in Francia a Parigi, come in Inghilterra a Londra, come anche in Italia a Milano, dove si pratica il Candomblé esattamente come nel Brasile.

Cosmo e Divinità

Nonostante ci sia un pantheon di divinità numeroso, il Candomblé non è propriamente una religione politeista; esiste un principio primo (chiamato Olorun dalla nazione Ketu, Zambi o Zambiapongo dalla nazione Bantu, Mawu dalla nazione Jeje), da cui provengono gli Orixa (divinità) a cui ha delegato il suo potere. La maggior parte dei brasiliani lo identifica con il dio cristiano. Il Candomblé cerca un rapporto armonioso fra tutte le parti che compongono l'essere umano, il cosmo e la società mettendo in equilibrio tutti questi aspetti. L'universo sacro è reale ed i fedeli partecipano al mondo invisibile, questo mondo sacro esiste, si può sentire e entrarci in comunicazione. Generalmente chi pratica ha nei confronti del Candomblé una profonda fede nelle energie superiori della natura. Ogni persona è un frammento della divinità dalla quale ha ereditato le caratteristiche fisiche, psichiche ed energetiche.
La continuità e l'equilibrio con l'universo sacro e la natura si acquisiscono attraverso la riposizione di una forza magico-sacra che fluisce in tutte le cose, piante, animali, esseri umani, chiamata axé. L'axé può diminuire, aumentare ed essere distribuito attraverso dei riti che hanno la finalità di portare equilibrio e benessere alla comunità o all'individuo con il cosmo, la natura e le persone. Il fondamento del Candomblé è la vita vissuta bene ed ora.

Gli Orixa

Gli adepti al Candomblé credono negli Orixa. Questi sono delle divinità che possiedono una propria personalità e ciascuno di loro è associato ad un fenomeno naturale specifico e a certi colori. Nei loro miti vengono raccontati una grande quantità di insegnamenti mistici connessi all'elemento naturale caratteristico del particolare Orixa, Ciascuno degli elementi della natura ha delle sotto-categorie (es: acqua, c'è l'acqua dolce ed acqua salata).
L'Orixa, detto anche santo, per il passato processo sincretistico con i santi cattolici, si impossessa del credente e si serve di lui come strumento per comunicare con i mortali. Tra gli adepti al Candomblé è diffusissima la credenza secondo la quale ogni persona possiede una divinità protettrice chiamata orixà de cabeça o Orixa de frente, che fa assumere involontariamente al suo protetto, filhos o filhas, tutte le sue caratteristiche, positive e negative. Gli Orixa ascoltano le richieste, danno consigli, concedono la grazia, danno la cura alle malattie e consolano nel momento del bisogno. Il mondo celeste non è distante, né superiore e il credente può conversare direttamente con la divinità e chiederne i benefici.
In totale, il Candomblé rende omaggio ad un centinaio di divinità; tuttavia solo una dozzina di esse sono onorate nella maggior parte dei terreiros di grandi città come Salvador da Bahia o Rio de Janero, Ciascun Orixa ha una propria personalità, e un proprio sistema cultuale, che può cambiare non solo da nazione a nazione ma anche da terreiro a terreiro anche se esiste una linea di domini e particolarità riconosciute e note a tutti.
D'altro canto, Orixas con caratteristiche simili possono essere considerati come distinti; ad esempio Kabila della nazione Bantu, Oxóssi della nazione Ketu e Otulu della nazione Jejé sono tutti cacciatori e hanno gli stessi colori simbolici, ma non vengono identificati.
Esistono poi oltre agli Orixa due importanti personaggi indipendenti al mondo degli Orixa ma con il quale interagiscono, sono l'oracolo Ifà e il messaggero Exù. Questi sono altre due elementi costanti riscontrabili nei culti afro-americani. Ifà lavora per portare agli uomini le parole degli Orixas ed è situato in posizione superiore ad Exù, il cui compito è quello di trasmettere ai santi i desideri degli uomini. Ifà oggi è ricordato solamente per le più modeste mansioni di oracolo.
 
 

 

venerdì 2 gennaio 2015

La Bottega dei miracoli, Jorge Amado

.....Xangò fabbricò un grano di collana che era bianco e rosso, e lo consegnò ad Archanjo dicendogli, con la sua voce di tuono e tempesta: " Ojuobà ascolta, e impara questa fattura: quando la iaba già sarà legata per la testa e per i piedi, addormentata e arresa, infila questo grano nel suo subilatorio e aspetta senza timore il risultato: succeda quel che succeda, non lasciare il tuo posto, aspetta." Archanjo toccò terra con la fronte e disse: "Axè."
Poi andò a prendere un bagno di foglie, scelte una per una da Ossain. Nel moiele e nell'acqua di pitanga, nel sale e nella pimenta malagueta preparò l'arma e la vide crescere, inconsueto bordone da pellegrino. In tasca nascose il kelè e lo xaoro, e il cuore di colomba, il grano bianco e rosso di Xanfò. Sulla porta della bottega aspetta che lei arrivi.
Appena comparve sull'angolo cominciarono, approcci non ce ne furono, né corteggiamento: non appena la iaba si mostrò, il membro le andò incontro, s'arrampicò su per le gonne inamidate, assalendola lì sul posto, fatto a misura per lei: fuoco contro fuoco, miele contro miele, sale con sale, pepe con pepe e malagueta. Raccontare quella battaglia, quella guerra di due abilità, l'assalto della giumenta col cavallo, il miagolio della gatta in calore, l'ululato del lupo, il grugnito del cinghiale selvaggio, il singhiozzo della fanciulla nell'attimo di diventare donna, il tubare del colombo, il respiro della mareggiata - raccontarla, amore mio, chi lo potrebbe?
Rotolarono allacciati giù per l'erta e andarono a finire nell'arenile del porto, e attraversarono la notte. La marea crebbe e se li portò via; in fondo al mare proseguirono la folle cavalcata, in insano furore.
La iaba non si aspettava una tale resistenza; a ogni mancamento di Archanjo la scomunicata pensava con speranza e con rabbia: "Ora il possente vacillerà stremato!" Ma, al contrario, anziché afflosciarsi cresceva il pungiglione, in fuoco e carezze.
Neppure avrebbe immaginato tanto piacere: scudiscio di miele, pepe e sale, delizie delle delizie, fenomeno mai visto, meraviglia. Ahi! gemè la iaba disperata, almeno potessi....Non poteva.
Tre gioirni e tre notti durò la gran battaglia, gioco sublime senza intervalli: diecimila rese, un solo assalto; e la iaba tanto si accanì nel suo furore illimitato, che d'improvviso le venne un soprassalto e in piacere sbocciò come s'apre il cielo alla pioggia. Irrigato il deserto, interrotta l'aridità, vinta la maledizione - osanna e alleluja!
S'addormentò allora, soddisfatta femmina ma non donna ancora, ah no!
Nella stanza di Archanjo, dove ombre e odori si mescolavano, dormiva bocconi la iaba: un'intemperanza, uno sproposito di negra, uno schianto. Quando il suo respiro cominciò a cantare le infilò il kelè al collo e lo xaoro alla caviglia e così sua suddita la tenne. Poi, con delicatezza da baiano, nel sublime posteriore infilò il cuore della colomba, grano stregato di Xangò.
Nello stesso momento lei si lasciò sfuggire un urlo, subito seguito da un'esplosione, ambedue spaventosi, sinistri, paurosi, l'aria divenne zolfo puro, fumo mortifero. Un lampeggiare di fulmini sul mare, l'eco sorda del temporale, venti scatenati e tempesta da un lato all'altro dell'universo .Salì al cielo un immenso fungo e spense l sole.
Ma subito tutto si calmò in giubili e bonaccia; l'arcolbaleno distese i suoi colori: Oxumarè che inaugurava la festa e la pace. Al lezzo di zolfo subentrò un odore di rose appena sbocciate e la iaba non più iaba era, ma la negra Dorotèia. Nel suo petto era cresciuto, per arte di Xangò, il cuore più tenero, il più sottomesso e amante. Negra Dorotèia  per sempre, con la sua passera di fuoco, e il suo insolente posteriore indomito, il suo cuore di colomba.