Pagine

giovedì 30 ottobre 2014

Vacanze a sorpresa 3



Alle 9 ero ancora a letto a poltrire, ma sentii il telefono squillare così mi alzai. “Pronto”. Dall’altro capo del filo c’era Susan che con la sua voce mi investì di parole che all’inizio mi sembravano strane e che chiesi di ripetere più lentamente. Avevo ancora la mente annebbiata e non riuscivo a connettere o meglio quello che mi stava dicendo era così strano che non mi sembrava vero.

“Susan puoi ripetere tutto dall’inizio?” Lei  riprese da dove si era interrotta. “Una mia amica mi ha detto che c’è un suo amico che sta cercando una ragazza che deve fingere di essere la sua fidanzata durante le vacanze che trascorrerà a casa dei suoi genitori. Niente sesso, niente cose sconce, un bacetto ogni tanto. Deve solo far credere ai suoi genitori che ha una ragazza, così questi non gli rovinano le vacanze.”  Dopo un attimo di silenziò continuò. “Quando questa mia amica me lo ha detto ho pensato subito a te. Potrebbe essere un modo economico per farti le vacanze”.

Ci fu un altro attimo di silenzio e io replicai: “Chissà quante ragazze sono interessate a questa proposta! Ma siamo sicure che non ci sia un inghippo?” “No le ragazze che lo sanno non dovrebbe essere tante e poi   cosa ti costa provare, male che vada ti fai una vacanza gratis e male male che vada se proprio la convivenza non funziona torni a casa e amici come prima”.

 Pensavo e ripensavo a quello che mia aveva appena detto Susan questa cosa girava nella mia testa come un tarlo. Ero molto attratta dall’idea. Una vacanza, per giunta  gratis. Troppo bello per essere vero. Magari il tipo che voleva questa fidanzata di facciata, era gay. Non che avessi nulla contro i gay, anzi se così era mi potevo fare una vacanza tutta spesata, senza nemmeno il rischio di un coinvolgimento.

Oppure forse era un ragazzo timido, che non era in grado di trovarsi una fidanzata..

Dopo un po’ la voce di Susan mi allontanò dalle mie fantasticherie e lei mi chiese: “Allora ti faccio fissare un appuntamento?” Silenzio.

Poco dopo le dissi: “Aspetta quanto corri, fammici pensare”. Lei allora molto più pratica di me continuò: “Ma cosa vuoi aspettare? Vai all’incontro e poi hai tutto il tempo di decidere”.

Io allora replicai: “Ma!!!”. Lei decisa più che mai replico:

”Hai o non hai bisogno di una vacanza?”. “SI” risposi sospirando.

 “Hai i soldi per potertela permetter?”- “No” sospirai ancora.

“Allora cosa stai tanto a pensarci su, buttati per una volta nella vita. Occasioni così non capitano tutti i giorni. Poi magari è anche bello”.

“E no” replicai. ” Lo sai che non voglio nessun legame, proprio ora che si sta per realizzare il mio sogno!!”

“Va bene, fai come credi però la vacanza te la puoi fare” replicò Susan.

“Va bene fissami questo appuntamento, tanto se non sono convinta non parto!”

“Bene così mi piaci. Ti faccio sapere quanto prima”. E mise giù il telefono.

Mentre mi preparavo per andare dal mio relatore pensavo alla vacanza con insistenza, ma subito dopo mi dicevo, “stai con i piedi per terra. Perché dovrebbe scegliere te? Queste cose sono come le favole, non succedono nel mondo reale”. Sorridendo uscii di casa e non ci pensai più.

 

Nel pomeriggio ricevetti una chiamata da Susan: “Domai pomeriggio al bar vicino al Duomo, alle 17. Mettiti una camicetta rossa”. Al momento non realizzai subito. “Una camicetta rossa, che assurdità”. Susan un po’ spazientita replicò: “ Dai non fare la difficile. Deve riconoscerti in qualche modo”. Io per non farla arrabbiare replicai conciliante: “Scusami ti sei data tanto da fare con me e io non faccio altro che brontolare! Va bene domani camicetta rossa al bar del Duomo alle 17.00”. “Brava. Così mi piaci”.

L’indomani mentre mi preparavo per andare al bar del Duomo ero agitata, stupidamente agitata. Mi davo della sciocca per essermi messa in questa situazione. Beh male che vada me ne sto a casa, mi ripetevo poco convinta.

Alle 17.00 ero in piazza del Duomo e con circospezione mi avvicinavo al bar. Avevo indossato una camicetta rossa su una gonna tubino scuro, sandali e avevo raccolto i capelli con una molletta facendo scendere qualche boccolo ribelle.

Mi stavo avvicinando ai tavoli del bar cercando di guardare le persone che erano sedute, ma non mi pareva di riconoscere nessuno.

Ad un certo punto lo vidi era seduto in uno dei tavolini laterali che sorseggiava una bibita. Non mi aspettavo di vedere Mark in quel locale non era il suo genere.

 Pensai che se mi vedeva parlare con un uomo certamente non ci avrebbe visto nulla di strano spero solo che il tizio non avesse scelto il tavolino vicino al suo in modo che lui non sentisse la nostra conversazione di finta fidanzata e vacanza gratis.

Lo guardai per un attimo, lui mi salutò espansivamente con la mano, mi avvicinai e poco dopo lo sentii dire: “Sei in ritardo di 5 minuti”. Lo guardai sbarrando gli occhi poi dopo essermi ripresa dallo shock gli chiesi: “Tu saresti il tizio che sta cercando la finta fidanzata?” Lui ridendo e squadrandomi dalla testa ai piedi mi rispose: “Tu saresti interessata all’offerta?” con un tono meravigliato e incredulo.

Non risposi ma una rabbia folle mi stava crescendo, girai i tacchi e stavo per allontanarmi quando sentii la sua voce secca ordinarmi: “Siediti”. Non lo avevo mai sentito parlare in modo così autoritario. Mi voltai lentamente e lo guardai. Mi guardò ancora e aggiunse: “Per piacere”. Mi sedetti ma desideravo essere lontano da lì per la vergogna e maledicevo Susan per avermi proposto questa cosa.

Mi chiese: “Prendi qualcosa da bere?” Risposi molto secca: “No grazie, vorrei andare se non ti dispiace”.

Invece di rispondere mi guardava e mi disse. “Stai molto bene con il rosso”. Prendendomi sfacciatamente in giro. Lo fulminai con lo sguardo e questo provocò una sonora risata in lui. Quanto mi sarebbe piaciuto dargli un bel pugno, ma mi imposi di mantenere la calma, fare un bel respiro e calmarmi.

Lui mi guardava e sorrideva sornione. “I miei genitori mi voglio a tutti i costi sistemato. Non ho voglia, anzi ancora non mi sento di impegnarmi con una ragazza fissa così per evitare che anche quest’anno mi facciano il predicozzo, vorrei andare con una ragazza che finga di essere la mia fidanzata.” Dopo che ebbe terminato gli chiesi: “Ma perché non ti porti una di quelle che frequenti?” Lui sorrise e mi rispose: “Perché sono un po’ appariscenti e non sarebbe il tipo di ragazza che piacerebbe ai miei e poi come ti ho detto non mi voglio impegnare”.

 E tu perché sei interessata a questa offerta?” Io molto rigidamente replicai: “Ti sbagli non sono interessata”. Mi alzai ma la sua mano prontamente mi fece risedere. Mi divincolai dalla sua stretta e lo fulminai con lo sguardo. Lui mi guardò molto divertito e replicò: “Ti ripeto la domanda perché sei interessata all’offerta?”. Pensai che se continuavo con questo atteggiamento non sarei più andata via quindi decisi di rispondere alla sua domanda: “Non ho i soldi per una vacanza o per essere precisa li ho, ma quelli che ho messo da parte mi servono per altro.”

 Non stetti a spiegargli che ero molto stanca e che pur di andare in vacanza avrei fatto qualsiasi cosa, ma questo a lui non sarebbe interessato. Non avrebbe capito lui che non aveva problemi di soldi. Mi alzai ma questa volta non mi trattenne. “Ti ringrazio per l’offerta, ma non sono interessata a venire in vacanza con te”. Lui mi guardava sempre sorridendo, ma senza aggiungere altro. Mi voltai e andai via.

Quando arrivai a casa ero così arrabbiata con me stessa che mi sarei presa a schiaffi.

Mi cambiai e andai in pizzeria e un po’ alla volta la mia rabbia sbollì. La cosa che più di tutte mi feriva era che era lui la persona davanti alla quale mi ero resa ridicola, non aveva fatto altro che sorridere e prendermi in giro. Accidenti a me che ero stata così credulona.

Tre giorni dopo l’appuntamento ricevetti una telefonata: “Sono Mark, volevo dirti che accetto la tua offerta di accompagnarmi in vacanza”. Rimasi un attimo senza parole poi risposi. “Ti ringrazio, ma non vengo, cercati un’altra compagnia più adatta alle tue esigenze”. Misi giù il telefono con il cuore che batteva a cento. Mi sedetti sul divano e mi alzai dandomi della cretina per essere così agitata. Possibile che mi faceva questo effetto. Mi irritava perché era sempre sicuro di se stesso, convinto che tutti dovessero ubbidirgli. Sfacciato presuntuoso!

Due giorni dopo ricetti una lettera quando l’aprii dovetti sedermi perché conteneva un biglietto d’aereo di andata per Minorca. Questa cosa mi fece montare una rabbia feroce. Ma chi si crede di essere. Telefonai a Susan per dirglielo e lei con tutta calma mi disse: “Sei una vera sciocca se non vai”. Io nera di rabbia replicai: “Ma lo vuoi capire che se fosse stato un’altra persona non ci avrei pensato due volte.  Non voglio andare via con lui!”. Susan candidamente aggiunse: “Ma lui a quanto pare vuole andare via con te” – “Solo perché gli ho detto di no sta insistendo così tanto.”

Susan ribattè: “Fregatene, è un bel ragazzo, se ti da un bacio non muori. Se lo vuoi evitare puoi farlo non dormirai nella stessa stanza con lui,  abiterai a casa dei suoi. Fidati sei in una botte di ferro”.

Non lo dissi a Susan, ma questa volta avrei fatto di testa mia. Presi il biglietto e lo misi sulla credenza domani lo avrei rispedito indietro. Con questo proposito mi cambia per andare in pizzeria.

A mezzanotte quasi l’una quando uscii dalla pizzeria vidi una macchina, un SUV per la precisione parcheggiato sopra il marciapiede e pensai dentro di me che le persone sono proprio irrispettose. Mi bloccai di botto e realizzai che quella macchina apparteneva a una sola persona irrispettosa e cioè a Mark Nicholson.

Cosa ci faceva fuori dalla pizzeria. Ad un certo punto lo vidi che si avvicinava a me. Quando mi fu vicino mi sorrise e mi chiese: “Hai ricevuto il biglietto?” Io cercando di controllare la mia voce risposi: “Si l’ho ricevuto e se sapevo che stasera eri in pizzeria te lo avrei portato per restituirtelo”.

 Mi guardo ancora sorridendo: “Mi piacciono le persone determinate. Passo a prenderti domenica mattina alle otto e se non sei pronta ti porto via così come sei.” Allora tutta la rabbia che stavo cercando di controllare esplose: “Ma chi ti credi di essere. Sei solo un prepotente viziato che deve imporre la sua volontà agli altri. Non vengo con te da nessuna parte.” Mi guardò ancora sorridendo: “Domenica alle otto, mi raccomando non farmi aspettare”.

 

Ci volle tutta la pazienza di Susan per convincermi a preparare le valigie. Cercò di farmi vedere tutti i vantaggi di questa vacanza di cui avevo veramente bisogno. Ero veramente stanca, i nervi a fior di pelle.

Mi prestò alcuni dei suoi vestiti perché diceva che  i miei abiti  stravaganti non sarebbero certo piaciuti ai miei futuri suoceri.

Non so come ma anche Pablo e Rosi accolsero con gran piacere la notizia della mia partenza, speravo che almeno loro fossero dalla mia parte ma con molto affetto mi dissero che si vedeva che ero stanca e questa vacanza mi avrebbe fatto bene. Anche io per placare i miei rimorsi me lo ripetevo. Se solo non ci fosse stato Mark come compagno di viaggio sarebbe stato tutto splendido.

martedì 28 ottobre 2014

Vacanze a sorpresa 2


Alle 18 entrai puntuale in pizzeria per il mio turno serale. Erano anni che lavoravo in questa pizzeria a conduzione familiare, da quando avevo iniziato a frequentare l’università anche perché la borsa di studio non era sufficiente per pagare l’appartamento, le bollette, e mettere via i soldi per andare a Londra.

Pablo il capo famiglia mi accolse come sempre con il suo caloroso sorriso: “Ciao Piccola come va?” Lo guardai con affetto e risposi ricambiando il suo sorriso: “ Bene Pablo”. Girai attorno al bancone ed entrai in cucina dove c’era Rosa la sua voluminosa mogliettina che era già super impegnata a mescolare, affettare, rosolare verdure, carne, pesce con magica maestria. Rosa alzo il viso e senza dire nulla mi sorrise poi con aria pacata mi disse: “Questa sera ci sono due tavolate di 15 e 12 persone, metterei quelli da 15 nella saletta blu e quelle da dodici nella saletta pesca e gli altri in quella solita davanti.” La guardai annuendo e andai nella stanzetta lì accanto a cambiarmi.

Poco dopo arrivarono i figli Miriam e David che poco dopo aver salutato i presenti, con me iniziarono a sistemare le salette in attesa degli avventori. Ognuno di noi si occupava di una sala e mentre si lavora si rideva e scherzava in piena armonia. Io oramai ero della famiglia e mi trattavano come tale.

Verso le 19.30  iniziarono ad arrivare i primi clienti, che ordinavano le pizze da portar via.

 Alle 20.00 arrivarono le persone che avevano prenotato le due tavolate e con mio disappunto in uno dei due gruppi c’era Mark  Nicholson. Non era la prima volta che veniva lì, ma vederlo due volte di seguito in un solo giorno era troppo. Cercai di mettermi d’accordo con David il figlio più grande di Pablo in modo che fosse lui a servire  la saletta dove c’era Mark, ma Pablo mi precedette e mi chiese di seguirli personalmente perché ero molto più professionale e con i ragazzi sapevo farmi rispettare. Così dovetti fare buon viso a cattiva sorte e dopo aver fatto un profondo sospiro e dopo averli fatti accomodare, presi il mio tablet e mi avvicinai alla tavolata.

Mi posizionai in modo da avere Mark alla mia sinistra, perché non lo volevo avere di fronte. Salutai cortesemente e chiesi: “Cosa vi posso portare da bere?”. Naturalmente c’era chi voleva la coca, chi la birra chi  l’aranciata. Una volta sentite le richieste. Alzando un pò il tono di voce in modo da attirare la loro attenzione chiesi: “Quindi quante coche?” mi sentii rispondere: “Tre”. Continuai. “ Quante birre piccole, e quante medie”. Risposero: “Tre piccole e due grandi”. Continuai: “Quante aranciate?”. “Due”. Contai le ordinazioni era una tavolata di 12 persone, avevo undici ordinazioni. Chiesi: “Chi manca, chi deve ancora ordinare?” Senza nemmeno girarmi, sapevo che chi ancora non aveva ordinato era Mark.

Lo sentii dire: “Devo ordinare io”. Mi girai lentamente dalla sua parte e con un sorriso sforzato chiesi educatamente: “Prego”. Lui guardandomi negli occhi intensamente dopo un po’ di tempo che mi parve lunghissimo mi disse: “Un calice di vino rosso della casa”. Seguì un sorriso sforzato per ricambiare il mio. Mentre mi giravo per andare via aggiunse: “Non freddo, detesto il vino rosso freddo”. Lo guardai e risposi con una dolcezza esagerata in modo che capisse che lo stavo facendo apposta. “Naturalmente, lei è un vero intenditore”. Mi sarebbe piaciuto aggiungere dell’altro, ma ero nel locale di Pablo ed il cliente aveva sempre ragione. Così mi morsi la lingua  e andai al bancone a preparare il vassoio con le ordinazioni.

La mia tentazione istantanea  sarebbe stata quella di mettere del pepe nel bicchiere del mio simpatico conoscente, ma ero nel locale di Pablo e non potevo.

Terminai di preparare i vari bicchieri e con una mano sotto il vassoio mi diressi verso il tavolo che stavo servendo distribuendo ai commensali le bibite ordinate. Per ultimo rimase il calice di vino e professionalmente lo porsi a Mark senza guardarlo in viso ma mentre mi avvicinavo gli sfiorai la spalla e in quel momento sentii il suo profumo molto maschile che mi colpì le narici dandomi un brivido sensuale.

Chiusi un attimo gli occhi mentre istintivamente aspiravo quel profumo, in quel momento mi accorsi che lui si era girato e mi guardava e sulla sua bocca gli comparve un sorriso sornione facendomi arrossire immediatamente. Si avvicinò a me e disse: “Patchouli”. Lo guardai e arrossi ancor di più, mi allontanai velocemente vergognandomi come una ladra. Mi piacevano i profumi sia quando li portavo io sia quando li sentivo addosso agli altri, mi intrigavano tanto. La cosa che più mi dava fastidio era che dovevo ammettere che Mark portava un profumo che mi piaceva molto.

Passarono 15 minuti, cercai di  farmi passare l’agitazione e tornai al loro tavolo questa volta mettendomi all’estrema destra, il più lontano possibile da Mark e dal suo profumo così conturbante.

Presi tutte le ordinazioni,  ma come prima con le bibite, era una tavolata da 12 ma avevo solo undici ordinazioni. Chiesi chi dovesse ancora ordinare ben sapendo chi doveva ancora farlo. Sentii la voce di Mark che diceva: “Scusa puoi ripetermi tutto da capo perché ero un po’ distratto?” Mi sforzai di essere più disinvolta possibile e mi avvicinai a lui  e il suo profumo mi colpì intensamente le narici dandomi un brivido piacevole. Rilessi il foglio con il menù conscia di avere il suo sguardo fisso su di me. Quando finii di leggere alzai gli occhi verso di lui guardandolo, lui ricambiò il mio sguardo e molto lentamente con una voce molto dolce e calda mi disse: “Non so cosa prendere,  cosa mi consigli?”. Feci finta di non cogliere  il modo sensuale con cui si rivolse a me come se invece di ordinare una bistecca mi stesse invitando ad uscire con lui. Risposi in modo spiccio senza guardarlo: “E’ tutto molto buono, ma la zuppa con pollo al limone è squisita”. Allora lo sentii dire: “Bene allora zuppa di carote con prugne avvolte nel bacon”. Facendo uno sforzo immane per non  dirgli quello che in quel momento mi passava per la testa mi allontanai velocemente.

Quando arrivai in cucina diedi libero sfogo alla mia rabbia. Raccontai per filo e per segno cosa mi era appena successo e dopo aver sentito il mio racconto scoppiarono tutti in una bella risata che contagiò anche me e fece sbollire la rabbia che covavo dentro. Dovevo smetterla di arrabbiarmi per queste sciocchezze, lo sapevo che faceva di tutto per farmi dei dispetti, dovevo solo essere superiore a lui e non prendermela come avevo appena fatto. Era da sciocche assecondarlo in quella maniera.

Fortunatamente i commensali mangiavano con gusto apprezzando i patti e anche Mark finì il suo e quando arrivò il momento di ordinare il dessert anche in questo caso l’ultimo ad ordinare fu lui ma io non ci diedi peso, ripetei la lista dei dolci della casa e lui ovviamente dopo avermi chiesto consiglio prese un gelato che poi lasciò che si sciogliesse nella ciotola.

Quando fu ora di chiedere il conto, tirai un respiro di sollievo perché non vedevo l’ora che se ne andassero via dal locale, ma rimasero a chiacchierare ancora un bel po’ poi si alzarono e uscirono.

Mark fu l’ultimo ad uscire e mentre percorreva la sala  mi vide che ero dall’altra parte del locale e  mi guardò io gli diedi solo una rapida occhiata poi allontanai il mio sguardo dalla sua persona per fargli capire che non mi interessava e mi voltai per andare in un’altra sala dove c’era bisogno di me.

Quando dopo dieci minuti mi avvicinai alla tavola per sparecchiare sentii un forte odore di Patchouli, ero convinta che il tovagliolo si fosse impregnato del suo profumo in realtà Mark era dietro di me e lo sentii dire: “Ho dimenticato questi” e mentre lo diceva prendeva la custodia degli occhiali e mi guardò. “Scommetto che me li avresti portati domani” io guardandolo negli occhi con aria di sfida risposi: “ Li stavo buttando nella pattumiera perché non mi venisse questa tentazione”. Lui mi guardò sorridendo e si allontanò per poi uscire definitivamente dal locale.

Mentre sparecchiavo non facevo che pensare a lui. Era stata una strana serata. Aveva fatto di tutto per provocarmi e io stupida ero caduto nel suo gioco. Era talmente annoiato che si era abbassato a punzecchiarmi, ma la prossima volta non ci sarei cascata.

Arrivai a casa piuttosto stanca. Ero a pezzi, avevo veramente bisogno di una vacanza. Più ci pensavo e più sapevo che non era possibile e più mi sentivo stanca. Era come il gatto che si morde la coda senza soluzione.

 Mi avvicinai al telefono per ascoltare la segreteria telefonica.  C’erano dei messaggi e li ascoltai. Uno era di Susan che mi aveva trovato la soluzione per le mie vacanze, un altro del mio prof che mi dava appuntamento per l’indomani mattina.

Feci una doccia e poi mi ficcai sotto le coperte e mentre mi rilassavo mi ritornò in mente il viso di Mark bello, il suo sorriso invitante, il suo sguardo intrigante e la sua voce calda.

Mi girai di scatto dicendomi basta, smettila, dormi, ma faticai parecchio prima di prendere sonno.

domenica 26 ottobre 2014

Vacanze a sorpresa 1


Stavo percorrendo il portico della facoltà per andare al bar a prendere un caffe, dato che non ero riuscita a fare colazione a casa, quando in lontananza vidi Susan che veniva dalla mia parte.

Io e Susan ci eravamo  conosciute alla mensa della facoltà e tra noi due era nata una sincera e solida amicizia basata sul rispetto e la stima reciproca. Era una biondina minuta con un visetto angelico e un caschetto di morbidi riccioli biondi che le incorniciavano il viso sorridente. Io ero tutto l’opposto: una massa di capelli neri con dei riccioli ribelli che non riuscivo a domare con nessun tipo di schiuma, olio, gel o lacca in commercio nei negozi per parrucchieri; mi ero oramai rassegnata a lasciarli liberi trattenuti solo da una fascia colorata.

Quando mi raggiunse mi fece uno dei suoi sorrisi solari e mi disse allegramente: ”I tuoi pantaloni sono stupendi …non passerai certamente inosservata oggi!” e si mise a ridere allegramente. In effetti oggi avevo indossato la prima cosa pulita che avevo trovato sulla poltrona, erano tre giorni che la mia lavatrice non aveva voglia di funzionare, avevo chiamato il tecnico, ma ancora non si era fatto vedere. Io la guardai imbronciata e risposi sbuffando: “Lo so che non sono i pantaloni da mettere per venire qui, ma non potevo venire in mutande, la mia lavatrice ha deciso di prendersi un po’ di ferie e sto aspettando una buona anima che la sistemi!”.

Ci dirigemmo verso il bar e appena entrata notai che vicino alla cassa c’erano Mark  Nicholson con i suoi amici e appena si accorse di noi, iniziò a guardare insistentemente dalla nostra e a parlare con i suoi amici evidentemente di me e Susan perché poco dopo si girarono e si misero a ridere guardandoci.

Tra me e Mark non c’era molta simpatia; per essere sincere non ce ne era mai stata, ma le cose peggiorarono da quel giorno che aveva parcheggiato il suo SUV nella zona riservata alle biciclette. Io quando avevo visto il macchinone che occupava prepotentemente l’area che non gli era riservata chiamai i vigili che gli fecero la multa e fecero portare via l’auto da un carro attrezzi. In quel momento non sapevo che era la sua, lo venni a sapere dopo, lui non fece scenate, ma ogni volta che mi incontrava faceva una battutina velenosa nei miei riguardi.

Mark era pieno di soldi, veniva in facoltà perché altrimenti non sapeva come occupare il suo tempo, era un ragazzo intelligente, ma preferiva giocare a baseball, stare con le belle ragazze, e naturalmente non fare esami o perlomeno ne faceva lo stretto necessario. Era un bel ragazzo con dei bei capelli castani che portava scomposti nel modo giusto, occhi grigi profondi, una leggera barbetta incolta, una bella bocca sensuale ,  fisico atletico, avrebbe potuto fare tranquillamente il modello. Uno di quei ragazzi che facevano girare la testa. Non dico che io ero immune alla sua bellezza però non sopportavo la sua prepotenza, sembrava che tutto gli fosse dovuto. Il classico figlio di papà che era abituato ad avere tutto.

Questa mattina naturalmente guardavano i pantaloni che indossavo, non erano niente di particolare però erano molto orientali, quel genere di indumento che indossano le donne indiane: la stoffa era molto bella ma certamente devo ammettere che erano molto particolari.

Quando io e Susan ci avvicinammo alla cassa del bar pe fare l’ordinazione sentii Mark  che parlando a voce alta con i suoi amici diceva: “Forse ha scambiato le sue tende con un paio di pantaloni” e mentre lo diceva guardava con fare provocatorio dalla mia parte. I suoi amici ridevano io rossa dalla rabbia senza guardarlo in faccia replicai: “I miei sono una paio di pantaloni che sembrano una tenda la tua però è una tovaglia che sembra una camicia”. Facendo riferimento alla camicia a scacchi che portava addosso. I suoi amici e lui risero e replicò: “Sempre la risposta pronta eh!” Non aggiunsi altro e con Susan ci avvicinammo al bancone per prendere le nostre ordinazioni.

Mentre ci spostavamo lanciai uno sguardo di sfida a Mark che mi fece uno dei suoi sorrisi provocatori e il suo sguardo diceva chiaramente: “Con me non la spunti!”.

Prendemmo la nostra brioche ed il cappuccino e ci sedemmo in uno dei tavolini il più lontano possibile da Mark e dai suoi amici che stavano muovendosi verso l’uscita senza prima aver dato un'ultima occhiata al mio abbigliamento.

Mi sedetti in una delle sedie facendo un respiro infastidito e dicendo rivolta a Susan: “Possibile che devono per forza dare fastidio a chi gli ignora?” Susan saggiamente replicò: “Lo sai che dal giorno che gli hai fatto portare via il SUV ogni occasione è buona per fartela pagare.” ”Lo so” risposi “Non è colpa mia se mi danno fastidio i  prepotenti che credono di essere i padroni del mondo, solo perché ha un conto corrente con sei zeri. Non ha mai fatto fatica nella sua vita, tutti devono essere ai suoi piedi, riverirlo, adularlo, quanto mi irrita quel tipo.” “E pensare che all’inizio mi stava pure simpatico! Che sciocca! Ma cambiamo argomento.”

“Allora Susan hai deciso dove andare in vacanza?” Susan mi guardò col suo sguardo pensoso e mentre emetteva un lungo sospiro diceva: “Mi piacerebbe andare al mare, ma non so dove, i miei vogliono portarmi a Rodi io invece vorrei andare in Italia, mentre Paul vuole andare in Spagna. E’ proprio difficile decidere e tu?” Io la guardai tristemente e risposi: “Ho tanta voglia di andare in vacanza, ne ho proprio bisogno, ma i soldi che ho messo da parte mi servono per andare a Londra e non posso permettermi di spenderli per una vacanza.”

Susan mi guardò e replicò: “Ma non puoi sempre studiare e lavorare, hai bisogno anche tu di un po’ di pausa, non sei fatta d’acciaio!” La guardai sconsolata e aggiunsi: “Lo so ti posso garantire che darei non so cosa per due o tre giorni di pausa, ma non posso permettermelo, non ora!” Addentai la mia brioche e con tristezza bevvi un sorso del cappuccino. Quella schiuma densa e soffice nella mia tazza mi faceva venire in mente la schiuma delle onde del mare, che voglia di prendermi una vacanza, ne avevo proprio bisogno, ma non quest’anno.

Finimmo di fare colazione poi ci alzammo ed uscimmo dal bar io per andare a parlare con il mio relatore e Susan a lezione, dopo esserci scambiate un bacio ci separammo allegramente.

Parlare delle vacanze mi aveva messo malinconia. Questi erano gli ultimo sforzi, tra non molto mi sarei laureata poi mi aspettava un anno a Londra dove avrei fatto ricerca per il mio relatore che aveva bisogno di avere una persona che facesse il topo di biblioteca per lui: a me andava bene, mi avrebbe pagato un buon stipendio, avrebbe fatto curriculum e poi andare a Londra era il mio sogno.

Arrivai ai laboratori, mi avvicinai allo studiolo del prof. Goldreyer e poco dopo bussai, sentii la voce del professore che diceva avanti e abbassando la maniglia della porta per aprirla, entrai. Lo trovai assorto a leggere e quando poco dopo alzò il viso per salutarmi, mi fece cenno di avvicinarmi e mi fece vedere con orgoglio il manoscritto che aveva tra le mani.

lunedì 20 ottobre 2014

Liala

Iniziatrice del rosa in Italia è stata Liala (pseudonimo coniato da D'Annunzio per Amalia Liana Cambiasi Negretti Odescalchi, 1897-1995), autrice di oltre ottanta romanzi che hanno venduto milioni di copie. La sua particolarità è l'ambientazione: il mondo della marina o dell'aviazione, durante la prima guerra mondiale. Come in America, anche in Italia gli anni '70-'80 vedono il boom della l.r.: vengono per la prima volta tradotti i romanzi delle progenitrici straniere (Cartland, Heyer, Heaven e Delly) e nel 1981 nasce Harmony, joint venture tra la Arnoldo Mondadori Editore e la Harlequin Enterprises, sul cui modello si costruisce. Oggi la Harmony conta venti collane, all'interno delle quali i libri escono con una periodicità che varia dal bisettimanale al bimestrale. Negli ultimi anni una nuova impronta al genere è stata data da altri editori: tra le firme più significative delle nuove tendenze Sveva Casati Modignani - pseudonimo di Bice Cairati e Nullo Cantaroni (quest'ultimo venuto a mancare nel 2004), autori di sedici romanzi di grande successo commerciale - e Mara Venturi, che ha iniziato a scrivere dietro suggerimento di Italo Calvino ed è stata definita da Alberto Bevilacqua la «Sandokan dei sentimenti»; oltre che di molti romanzi vendutissimi è autrice anche di serie televisive e di sceneggiati.
Nell'ultimo decennio è esploso il fenomeno, di matrice anglosassone, della chick-lit - letteralmente «letteratura per pollastrelle» (da chick, diminutivo di chicken, «pollo», ma nello slang «ragazza», e lit diminutivo di literature) - che ha preso avvio da una rubrica firmata dalla giornalista inglese Helen Fielding sulle pagine dell'«Indipendent»: «Il diario di Bridget Jones», diventata poi, con lo stesso titolo, un libro (1996) e infine un film (2001) di successo mondiale. Gli ingredienti della chick-lit sono: una giovane protagonista single, afflitta da qualche chilo di troppo o da altre «imperfezioni», perennemente insicura, romantica e un po' goffa; una verve ironica e scanzonata; la caparbia ricerca dell'uomo ideale; lieto fine, che non è l'altare, ma molto più spesso un'autoaffermazione della donna, che acquista finalmente fiducia in sé. Oltre a Helen Fielding, sono autrici di chick-lit Sophie Kinsella, Jennifer Weiner, Candace Bushnell, Melissa Bank e Anna Maxted.
In Italia ha successo, in questo filone, Stefania Bertola.
Il dilagare del fenomeno ha indotto Harmony a lanciare «Red Dress Ink», una collana interamente dedicata alla chick-lit. Il successo internazionale di questo tipo di narrativa - che per le sue caratteristiche è considerata più vicina alla women's fiction che alla l.r. - è da ascrivere alla sua capacità di restituire il senso d'incertezza e precarietà che caratterizza la generazione delle «quasi trentenni» e alla sua peculiare «ricetta» per la felicità. Diretta emanazione della chick-lit è, infine, la neonata mummy lit, ovvero: Bridget Jones dieci anni dopo... non più «pollastrella» bensì mamma. Anche nella mummy lit l'happy end è la ritrovata fiducia in sé, attraverso la consapevolezza... degli anni passati.

sabato 18 ottobre 2014

Harlequin


Negli Stati Uniti il genere diventa rapidamente un business, tanto che negli anni '50 nasce la prima casa editrice specializzata, la Harlequin, che si avvia rapidamente a conquistare il monopolio del mercato. Il romanzo rosa americano presenta subito caratteristiche diverse dal romance inglese. Rimane ovviamente fisso il canovaccio narrativo, ma l'ambientazione è spesso contemporanea e le protagoniste femminili non sono più donne idealizzate, «senza macchia e senza paura», ma eroine a volte ciniche e spregiudicate, che cercano l'emancipazione, il riscatto e l'affermazione di sé attraverso l'amore. Negli anni '70-'80 nascono i cosiddetti bodice rippers (letteralmente «strappa corsetti», attività prediletta dei loro protagonisti maschili); con Rosemary Rogers e Jennifer Wilde per la prima volta l'erotismo entra nella l.r. e i protagonisti hanno una significativa mutazione: lui è un uomo maturo, lei una giovane donna intraprendente.

Una decina di anni dopo - complice la rapida espansione di Harlequin e l'affinamento delle sue strategie editoriali - il genere compie un'altra «svolta» rilevante: pur rimanendo fedele alla formula di base con l'happy end assicurato, introduce temi più «realistici» come il divorzio, gli abusi, le famiglie allargate, la carriera. La fine dell'astratto «sogno d'amore» e l'acquisizione di un più stretto legame con il vissuto spingono la l.r. fuori dai suoi stretti confini, a cercare contesti e registri narrativi nuovi, spesso ibridandosi con altri generi letterari come il thriller, la commedia, il romanzo storico, d'avventura, esoterico e altri.

Attualmente Harlequin pubblica circa settanta romanzi rosa al mese, diversificati in «serie» secondo il genere: si tratta di libri a foliazione ridotta, prezzo contenuto, con uscita fissa più volte al mese.

Per ogni sfumatura di una storia d’amore esiste una collana specifica: c’è quella «romantica», dove le descrizioni e gli aggettivi arrivano solo fino a un certo punto, e c’è quella «erotica», dove le cose si fanno fisicamente più tempestose, nei corpi come nello stile. E poi ci sono le frontiere più recenti: la collana Blue Nocturne raccoglie trame basate su amori «paranormali e immortali», per sfruttare appieno il fenomeno (e l’immaginario) di Twilight. Firma di punta di questo sottogenere è Gena Showalther

Oltre a questi vi sono anche romanzi più lunghi, non facenti parte di alcuna collana, detti single title. Campionessa di vendite del momento è Nora Roberts, ma viene spesso insidiata da Daniele Steel, Barbara Taylor Bradford, Jackie Collins e altre, autrici di romanzi che sconfinano verso la cosiddetta women's fiction, ossia narrativa rivolta a un pubblico femminile, che non racconta necessariamente una storia d'amore, non segue uno schema fisso e presenta solitamente una caratterizzazione più approfondita e vicende più articolate, dando quindi luogo anche a libri più «corposi» dei classici rosa.

venerdì 17 ottobre 2014

Barbara Cartland


A consacrare definitivamente i romanzi rosa è stata Barbara Cartland (1901-2000), che ne ha codificato lo schema «vincente»: un uomo - bello, ricco, di nobile lignaggio - e una donna - bellissima, vergine e di grande forza d'animo - si amano; il loro amore è romantico e appassionato, ma non vi è sesso (valore principe dei romanzi della Cartland, infatti, è la castità prematrimoniale); fattori esterni - guerra, malattie, disgrazie, differenza di ceto sociale - mettono a repentaglio il sentimento che li unisce, il quale alla fine trionfa su ogni ostacolo e i due convolano felicemente a nozze. Con i suoi oltre settecento libri la Cartland ha valicato i confini inglesi cogliendo un successo senza precedenti e diffondendo la l.r. in tutto il mondo.

 
Durante la Seconda Guerra Mondiale, al di là dell’Atlantico, una giovane giornalista, divenuta celebre per un’intervista a Rodolfo Valentino, Margaret Mitchell (1900-1949), da alle stampe il suo unico romanzo che resterà nel cuore di intere generazioni, “Via col vento”.


giovedì 16 ottobre 2014

Romanzi rosa (2)


Negli stessi anni Jeanne Marie e Frederick Petitjean de la Rosière davano vita, sotto pseudonimo di Delly, al romanzo d'amore francese. Jeanne-Marie Petitjean de la Rosière, nata ad Avignone il 13 settembre 1875, e Frédéric Petitjean de la Rosière, nato a Vannes nel 1876.

I romanzi di Delly furono estremamente popolari fra gli anni Dieci e gli anni Cinquanta; alcuni di essi si collocano fra i più grandi successi editoriali dell'epoca.

Delly è stato considerato il prototipo dell'autore di romanzi popolari, soprattutto di romanzi rosa. Il suo stile è considerato piatto dalla critica, gli intrecci ripetitivi e costruiti su un modello immutabile: l'opposizione fra una protagonista che simboleggia la purezza ed altri personaggi che cercano di ostacolare la sua ricerca dell'amore perfetto. Tutta l'opera di Delly porta l'impronta della struttura sociale e della moralità degli inizi del secolo, restando impermeabile ai mutamenti sociali e culturali che attraversarono l'epoca in cui vissero i due autori.
 
 
Lo scrittore italo-inglese Rafael Sabatini (1875-1950) rilancia lo stile del romanzo storico-avventuroso con le avventure di Scaramouche, di Capitan Blood e del Cigno Nero.
 
Constance Heaven (constans hevn)  (1911-1995) - Scrisse romanzi dal 1963 al 1995, con il suo nome da ragazza, con il nome da sposata e sotto lo pseudonimo di Christina Merlin. Il suo romanzo "The House Of Kuragin" vinse il premio Romantic Novel of the Year. Quest'ultima più incline al melodramma e al mistero - che si sono ispirate ai modelli di Jane Austen (gein o sten), per quanto riguarda gli intrecci e l'analisi dei rapporti tra valori sociali e valori personali, e al romanzo gotico quanto riguarda l'ambientazione e i personaggi: castelli, monasteri, abbazie in rovina, fanciulle perseguitate, fattucchiere, zingari.
 

martedì 14 ottobre 2014

Romanzi rosa


La parola rosa mi ha inoltre ispirato la serie dei “romanzi rosa”. Questo genere letterario è nato all'inizio del Novecento per un pubblico femminile, e narra una storia d'amore a lieto fine. Si tratta di una letteratura di consumo, a lungo considerata di basso profilo, che si caratterizza per la rigidità dello schema narrativo e dei suoi personaggi: un uomo e una donna vivono un amore appassionato e contrastato e, dopo molte difficoltà, riescono a coronare il loro sogno. Questa formula narrativa può assumere le più diverse colorazioni (commedia, tragedia, thriller, fantasy, medical, romanzo di formazione, erotico, generazionale, storico ecc.), fermo restando l'obiettivo, nel quale risiede la sua forza commerciale, di rappresentare modelli femminili nei quali le lettrici si possano facilmente identificare e di essere, grazie all'happy end garantito, una lettura gratificante e consolatoria.

Il «rosa» nasce in Gran Bretagna con il romance, o romanzo romantico: solitamente ambientato nel periodo della Reggenza, ha per protagonisti aristocratici, duchi e principesse, uomini affascinanti, coraggiosi, impulsivi, e donne bellissime, virtuose e fiere. A comporre la storia d'amore concorrono elementi tipici del romanzo d'avventura (rapimenti e congiure, fughe notturne, duelli) e della commedia degli equivoci (tradimenti, agnizioni: inaspettato riconoscimento dell’identità di un personaggio, intrighi).

 

Ne sono progenitrici Georgette Heyer (1902-74)

Il suo primo romanzo pubblicato è La falena nera, scritto a diciassette anni per divertire il fratellino minore Boris, convalescente. Viene proposto ad un editore ed è pubblicato nel 1921 con grande successo. La sua bravura, riconosciuta fin dagli esordi, le permette di essere d'aiuto alla propria famiglia, e, in particolare, al marito Ronald Rougier. Esso è un ingegnere minerario che viaggia molto e la moglie lo segue in Tanganica ed in Macedonia. Ritornata in Inghilterra nel 1929, nel 1932 ha il suo primo ed unico figlio Richard.

I primi romanzi storici della Heyer sono per lo più ambientati nel XVIII secolo e comprendono Beauvallet e Masquerade (maschereid) (in italiano). Successivamente, la scrittrice crea i suoi lavori più originali, ambientati nel periodo della Reggenza: tra questi si ricordano Venetia, Il gioco degli equivoci e Il dandy della reggenza.

Scrive anche Romanzi gialli, ambientati in Inghilterra tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, molti dei quali hanno la classica ambientazione da casa di campagna. Inoltre, scrive romanzi storici, ambientati in periodi diversi, e anche vari racconti. L'ultimo lavoro, My Lord John, è stato pubblicato postumo.

mercoledì 8 ottobre 2014

La parola “ROSA”


Attualmente sto leggendo il romanzo “Dracula” di Bram Stoker. Tra le cose che tolgono ogni potere (ai vampiri) come l’aglio e le cose sacre c’è un ramo di rosa selvatica. Esso  posto sulla sua bara gli impedisce di allontanarsene. Nel linguaggio dei fiori, la rosa selvatica rappresenta la semplicità e la modestia e significa: ”Ti seguirò dappertutto”. La rosa per ovvie ragioni simboleggia la bellezza. Nella mitologia greca la rosa nacque dal corpo di una ninfa morta, a cui Cloris, il dio dei fiori, ridette la vita. Afrodite offre la rosa a Eros, il giovane dio dell’amore. Le proprietà antivampiro della rosa selvatica hanno forse origine nella comune associazione della rosa con Cristo. La vera rosa selvatica è rara in Terra Santa, ma la tradizioine cristiana la identifica con la rosa di Sharon, che simboleggia Gesù stesso. Infatti Gesù dice: “ Io sono la rosa di Sharon e il figlio delle valli” (Cantico dei Cantici  2:1), Emily Gerard ne “La terra oltre la foresta” dice che in Transilvania “ i rami della rosa selvatica vengono disposti sul corpo (di una persona morta) per impedirle di lasciare la bara”.

mercoledì 1 ottobre 2014

Kafka sulla spiaggia, Haruki Murakami


è un romanzo di Haruki Murakami. La prima edizione originale è stata pubblicata nel 2002. La traduzione italiana, effettuata da Giorgio Amitrano, è stata pubblicata da Einaudi nel 2008. Lo stile del romanzo è riconducibile al filone del genere chiamato "realismo magico".
Non voglio raccontare la trama del romanzo cito i due personaggi principali che sono  un ragazzo di quindici anni, maturo e determinato come un adulto di nome Tamura, e un vecchio con l'ingenuità e il candore di un bambino:  Nakata. Entrambi si allontanano dallo stesso quartiere di Tokyo diretti allo stesso luogo, Takamatsu, nel Sud del Giappone. I due personaggi caratterizzati in modo splendido non si incontreranno mai ma c’è un legame tra loro, misterioso che il lettore coglie nella narrazione. Nel corso del viaggio, Nakata scopre di essere chiamato a svolgere un compito, anche a prezzo della propria vita. Seguendo percorsi paralleli, che non tarderanno a sovrapporsi, il vecchio e il ragazzo avanzano nella nebbia dell'incomprensibile schivando numerosi ostacoli, ognuno proteso verso un obiettivo che ignora ma che rappresenterà il compimento del proprio destino. Diversi personaggi affiancano i due protagonisti: Hoshino, un giovane camionista di irresistibile simpatia; l'affascinante signora Saeki, ferma nel ricordo di un passato lontano; Òshima, l'androgino custode di una biblioteca e poi i gatti, che sovente rubano la scena agli umani.

Questa di Murakami è una lettura intensa e molto particolare: c'è un alternarsi continuo di realtà e fantasia, un viaggio tra dimensioni parallele, che ti proietta in una realtà al contempo onirica e spirituale. La prima metà dell’opera , sebbene molto originale, è comunque abbastanza logica e verosimile, ma segue poi la seconda parte nella quale il tutto diviene più sfumato ed onirico. Si entra in un labirinto di pagine in cui è difficile capire dove sia il confine tra la realtà ed il sogno, tra ciò che accade nella mente dei protagonisti e ciò che avviene fuori.
Proprio " sogno" è il termine più adatto da utilizzare poiché alcune delle scene che vengono narrate hanno proprio questo sapore, sono prive di un significato logico, razionale e sembrano nascere dal subconscio dell'autore, la realtà si smaterializza e accadono cose del tutto inspiegabili seppur affascinanti.
Sorgono molte domande e , alla conclusione del libro, spetta al lettore cercare di rispondere. Non tutto viene infatti spiegato, anzi, quasi nulla.
Il contenuto dell'opera è molto ricco, si sfiorano temi delicati di filosofia, di morale e religione, passando per la storia dell'arte e della musica.  Murakami accenna ora alle guerre napoleoniche ora a Beethoveen senza annoiare nè perdere il filo del romanzo.
Lo stile è  inconfondibile:  frasi brevi, dirette e descrizioni sintetiche ma mai banali alleggeriscono e rendono più lieve una trama altrimenti molto complessa . Si avverte una sorta di delicatezza nella scelta delle parole e nelle conversazioni dei personaggi che non può non colpire.

Tutto in questo romanzo richiama metaforicamente la memoria ... la biblioteca Komura, il bosco impenetrabile, il quadro senza attribuzione temporale; e tutto richiama la vita e la morte delle cose come dei ricordi. Kafka è un adolescente che cerca la sua “memoria” sia come futuro ancora da vivere sia come eredità di un passato doloroso; Nakata è un vecchio che ha perso la memoria; la Signora Saeki aspetta la morte come “liberazione” dalla memoria.