“Con il viso coperto dai foruncoli e le viscere bombardate dai gas e dai crampi, Quoyle era sopravvissuto all’infanzia. All’università statale, con la mano sul mento, aveva camuffato la propria sofferenza con sorrisi e silenzi. Aveva attraversato a stento i primi vent’anni e si era inoltrato nei trenta imparando a separare i sentimenti dalla vita, senza fare affidamento su nulla. Aveva un appetito prodigioso, adorava il prosciutto e le patate al burro.
I suoi
mestieri: fornitore di dolciumi per distributori automatici, commesso notturno
in un negozio di generi alimentari, cronista di terz’ordine. A trentasei anni,
orbato e traboccante di dolore e di amore frustrato, Quoyle aveva virato verso
Terranova, l’isola che aveva generato i suoi antenati, un luogo che non aveva
mai visitato, né mai aveva pensato di visitare.
Un luogo d’acqua.
E Quoyle temeva l’acqua: Non sapeva nuotare. Più di una volta suo padre aveva
mollato la presa per lasciarlo cadere in stagni, torrenti e laghi, oppure tra i
flutti. Quoyle conosceva il sapore dell’acqua torbida e dell’elodea.
A partire da
quel primo insuccesso nel mantenersi a galla, il padre vide sbocciare nel
figlio minore tutta una serie di
insuccessi, come in un’esplosione di cellule virulente: l’insuccesso nel
parlare in modo chiaro, nel tenere le spalle ritte. Nell’alzarsi la mattina. Un
insuccesso nell’atteggiamento, nelle ambizioni e nelle capacità. Un insuccesso
totale. In breve, il proprio insuccesso.
Quoyle si trascinava, di un palmo più alto
rispetto agli altri bambini. Era fiacco. Lo sapeva bene. «Grande grosso e
rammollito», gli diceva il padre , pur non essendo lui stesso un pigmeo. E suo
fratello Dick, il cocco di papà, fingeva
di vomitare ogni volta che Quoyle entrava nella stanza. «Faccia di lardo,
moccioso, bomba puzzolente, maiale schifoso, lanciascorregge, cinghiale
verrucoso, palla di grasso», gli sibilava, e lo riempiva di pugni e calci,
finché Quoyle non si raggomitolava piagnucolando sul linoleum, con la testa fra
le mani. Tutto dipendeva dal principale insuccesso di Quoyle, quello di non
avere un aspetto normale.
Il suo corpo
era un polpettone enorme e flaccido. A sei anni pesava trentasei chili. A
sedici era sepolto da una corazza di carne: la testa a forma di melone, niente
collo, i capelli rossicci mandati all’indietro. I lineamenti ravvicinati come
le dita di una mano unite per lanciare un bacio. Gli occhi color plastica. Un
mento mostruoso, una specie di mensola che gli sporgeva dalla parte inferiore
del viso.”
Come non si può dall’inizio del romanzo non provare una simpatia
travolgente per Quoyle. Un uomo che non è stato molto fortunato a partire dalla
sua famiglia che lo ha sempre considerato un “insuccesso” quando riesce a farsene una di sua, sposa Petal che la sera stessa che lo conosce
esordisce dicendo: «Allora che ne dici? Mi vuoi sposare vero? » «Si» rispose lui serio. Gettandosi in un amore doloroso.
Petal di giorno vendeva antifurti e di notte si trasformava in una
creatura che non riusciva a star lontana dalle stanze da letto degli
sconosciuti, che doveva possederli a tutti i costi. La loro vita in comune fu
piuttosto sofferta. L’unica felicità di Quoyle furono le sue bambine Bunny di
sei anni e Sunshine di quattro e mezzo capelli rossi e lentiggini come lui.
A trentasei anni la sua vita cambia quando: prima i genitori ammalati
uno di cancro al fegato e l’altra di tumore alla testa decidono di ingoiare
spontaneamente dei barbiturici per togliersi di mezzo e poi la moglie morta in
un incidente stradale, decide con l’unico parente rimasto, zia Agnis , di
trasferirsi a Terranova.
Da questo momento il romanzo diventa più interessante c’è la
descrizione della vita dura della gente di Terranova, pescatori, marinai, cacciatori di foche; un luogo con un tempo
supera ogni immaginazione.
Quando arrivano sull’isola l’idea della zia era quella andare a
stabilirsi nella vecchia casa di famiglia che rimasta chiusa per cinquant’anni era
oramai in condizioni precarie e necessitava di numerosi interventi
La costruzione si ergeva
desolata sulla roccia. L’unica particolarità era una grande finestra
fiancheggiata da due finestre più piccole, come un adulto che abbraccia due
bambini per proteggerli. Sulla porta, una lunetta a ventaglio. Quoyle notò che metà delle finestre non avevano
vetri: la vernice sul legno era scrostata. Il tetto pieno di buchi. E la baia
continuava a muoversi agitata.
La casa era stata trasportata dagli avi dall’ultimo villaggio dal quale
erano stati scacciati e legata con dei grossi cavi a una serie di anelli
fissati nella roccia.
Poco dopo il suo arrivo va alla sede del giornale per il quale dovrà
lavorare il “Gammy Bird”. Il giornale era
un tabloid di quarantaquattro pagine, stampato su carta sottile. Sei colonne,
titoli modesti – corpo trentasei era considerato sensazionale – il carattere
era un sans serif robusto ma inconsueto. Pochissime notizie e un numero incredibile di inserzioni
pubblicitarie.
Come primo incarico al giornale Quoyle dovette occuparsi di incidenti stradali e del
bollettino marittimo: le navi in arrivo e in partenza nel porto. Ma questo lo
getta nello sconforto perché il direttore è mezzo matto, non conosce ancora la
zona e deve occuparsi degli incidenti stradali, ma non può occuparsene perché gli
fanno venire in mente quello che è successo alla sua defunta ex moglie.
Con la zia decideranno di sistemare la vecchia casa, Quoyle di sua
iniziativa prenderà una barca che si dimostra essere una bagnarola, inizierà a
stringere amicizia con le famiglie del posto Denis e Beety, crescerà lentamente
un dolce affetto per la riservata Wavey.
A contatto con la gente del posto Quoyle riuscirà a dimostrare, per la
prima volta quello che vale.
Fa da sfondo alla narrazione il clima di Terranova: il mare, la distesa di
ghiaccio, la neve, le tempeste e il
vento impetuoso.
Il libro ha la particolarità che all'inizio di ogni capitolo e raffigurato un nodo con la sua descrizione e come precisa l'autrice senza l'ispirazione fornitale da Clifford W. Ashley con la splendida opera del 1944, "Il libro dei nodi" questo romanzo sarebbe rimasto solo il filo di un'idea.
Il libro ha la particolarità che all'inizio di ogni capitolo e raffigurato un nodo con la sua descrizione e come precisa l'autrice senza l'ispirazione fornitale da Clifford W. Ashley con la splendida opera del 1944, "Il libro dei nodi" questo romanzo sarebbe rimasto solo il filo di un'idea.