Alle
18 entrai puntuale in pizzeria per il mio turno serale. Erano anni che lavoravo
in questa pizzeria a conduzione familiare, da quando avevo iniziato a
frequentare l’università anche perché la borsa di studio non era sufficiente
per pagare l’appartamento, le bollette, e mettere via i soldi per andare a
Londra.
Pablo il capo famiglia mi accolse come sempre
con il suo caloroso sorriso: “Ciao Piccola come va?” Lo guardai con affetto e
risposi ricambiando il suo sorriso: “ Bene Pablo”. Girai attorno al bancone ed
entrai in cucina dove c’era Rosa la sua voluminosa mogliettina che era già
super impegnata a mescolare, affettare, rosolare verdure, carne, pesce con
magica maestria. Rosa alzo il viso e senza dire nulla mi sorrise poi con aria
pacata mi disse: “Questa sera ci sono due tavolate di 15 e 12 persone, metterei
quelli da 15 nella saletta blu e quelle da dodici nella saletta pesca e gli
altri in quella solita davanti.” La guardai annuendo e andai nella stanzetta lì
accanto a cambiarmi.
Poco dopo arrivarono i figli Miriam e David che
poco dopo aver salutato i presenti, con me iniziarono a sistemare le salette in
attesa degli avventori. Ognuno di noi si occupava di una sala e mentre si
lavora si rideva e scherzava in piena armonia. Io oramai ero della famiglia e
mi trattavano come tale.
Verso le 19.30
iniziarono ad arrivare i primi clienti, che ordinavano le pizze da
portar via.
Alle 20.00 arrivarono le persone che avevano
prenotato le due tavolate e con mio disappunto in uno dei due gruppi c’era
Mark Nicholson. Non era la prima volta
che veniva lì, ma vederlo due volte di seguito in un solo giorno era troppo.
Cercai di mettermi d’accordo con David il figlio più grande di Pablo in modo
che fosse lui a servire la saletta dove
c’era Mark, ma Pablo mi precedette e mi chiese di seguirli personalmente perché
ero molto più professionale e con i ragazzi sapevo farmi rispettare. Così
dovetti fare buon viso a cattiva sorte e dopo aver fatto un profondo sospiro e
dopo averli fatti accomodare, presi il mio tablet e mi avvicinai alla tavolata.
Mi
posizionai in modo da avere Mark alla mia sinistra, perché non lo volevo avere
di fronte. Salutai cortesemente e chiesi: “Cosa vi posso portare da bere?”. Naturalmente
c’era chi voleva la coca, chi la birra chi
l’aranciata. Una volta sentite le richieste. Alzando un pò il tono di
voce in modo da attirare la loro attenzione chiesi: “Quindi quante coche?” mi
sentii rispondere: “Tre”. Continuai. “ Quante birre piccole, e quante medie”. Risposero:
“Tre piccole e due grandi”. Continuai: “Quante aranciate?”. “Due”. Contai le
ordinazioni era una tavolata di 12 persone, avevo undici ordinazioni. Chiesi:
“Chi manca, chi deve ancora ordinare?” Senza nemmeno girarmi, sapevo che chi
ancora non aveva ordinato era Mark.
Lo sentii dire: “Devo ordinare io”. Mi girai
lentamente dalla sua parte e con un sorriso sforzato chiesi educatamente:
“Prego”. Lui guardandomi negli occhi intensamente dopo un po’ di tempo che mi
parve lunghissimo mi disse: “Un calice di vino rosso della casa”. Seguì un
sorriso sforzato per ricambiare il mio. Mentre mi giravo per andare via aggiunse:
“Non freddo, detesto il vino rosso freddo”. Lo guardai e risposi con una
dolcezza esagerata in modo che capisse che lo stavo facendo apposta. “Naturalmente,
lei è un vero intenditore”. Mi sarebbe piaciuto aggiungere dell’altro, ma ero
nel locale di Pablo ed il cliente aveva sempre ragione. Così mi morsi la lingua
e andai al bancone a preparare il
vassoio con le ordinazioni.
La mia tentazione istantanea sarebbe stata quella di mettere del pepe nel
bicchiere del mio simpatico conoscente, ma ero nel locale di Pablo e non
potevo.
Terminai di preparare i vari bicchieri e con una
mano sotto il vassoio mi diressi verso il tavolo che stavo servendo
distribuendo ai commensali le bibite ordinate. Per ultimo rimase il calice di
vino e professionalmente lo porsi a Mark senza guardarlo in viso ma mentre mi
avvicinavo gli sfiorai la spalla e in quel momento sentii il suo profumo molto
maschile che mi colpì le narici dandomi un brivido sensuale.
Chiusi un attimo gli occhi mentre istintivamente
aspiravo quel profumo, in quel momento mi accorsi che lui si era girato e mi
guardava e sulla sua bocca gli comparve un sorriso sornione facendomi arrossire
immediatamente. Si avvicinò a me e disse: “Patchouli”. Lo guardai e arrossi ancor di più, mi allontanai velocemente
vergognandomi come una ladra. Mi piacevano i profumi sia quando li portavo io
sia quando li sentivo addosso agli altri, mi intrigavano tanto. La cosa che più
mi dava fastidio era che dovevo ammettere che Mark portava un profumo che mi
piaceva molto.
Passarono
15 minuti, cercai di farmi passare
l’agitazione e tornai al loro tavolo questa volta mettendomi all’estrema
destra, il più lontano possibile da Mark e dal suo profumo così conturbante.
Presi tutte le ordinazioni, ma come prima con le bibite, era una tavolata
da 12 ma avevo solo undici ordinazioni. Chiesi chi dovesse ancora ordinare ben
sapendo chi doveva ancora farlo. Sentii la voce di Mark che diceva: “Scusa puoi
ripetermi tutto da capo perché ero un po’ distratto?” Mi sforzai di essere più
disinvolta possibile e mi avvicinai a lui
e il suo profumo mi colpì intensamente le narici dandomi un brivido
piacevole. Rilessi il foglio con il menù conscia di avere il suo sguardo fisso
su di me. Quando finii di leggere alzai gli occhi verso di lui guardandolo, lui
ricambiò il mio sguardo e molto lentamente con una voce molto dolce e calda mi
disse: “Non so cosa prendere, cosa mi
consigli?”. Feci finta di non cogliere
il modo sensuale con cui si rivolse a me come se invece di ordinare una
bistecca mi stesse invitando ad uscire con lui. Risposi in modo spiccio senza
guardarlo: “E’ tutto molto buono, ma la zuppa con pollo al limone è squisita”.
Allora lo sentii dire: “Bene allora zuppa di carote con prugne avvolte nel
bacon”. Facendo uno sforzo immane per non
dirgli quello che in quel momento mi passava per la testa mi allontanai
velocemente.
Quando
arrivai in cucina diedi libero sfogo alla mia rabbia. Raccontai per filo e per
segno cosa mi era appena successo e dopo aver sentito il mio racconto scoppiarono
tutti in una bella risata che contagiò anche me e fece sbollire la rabbia che
covavo dentro. Dovevo smetterla di arrabbiarmi per queste sciocchezze, lo
sapevo che faceva di tutto per farmi dei dispetti, dovevo solo essere superiore
a lui e non prendermela come avevo appena fatto. Era da sciocche assecondarlo
in quella maniera.
Fortunatamente i commensali mangiavano con gusto
apprezzando i patti e anche Mark finì il suo e quando arrivò il momento di
ordinare il dessert anche in questo caso l’ultimo ad ordinare fu lui ma io non
ci diedi peso, ripetei la lista dei dolci della casa e lui ovviamente dopo
avermi chiesto consiglio prese un gelato che poi lasciò che si sciogliesse
nella ciotola.
Quando
fu ora di chiedere il conto, tirai un respiro di sollievo perché non vedevo
l’ora che se ne andassero via dal locale, ma rimasero a chiacchierare ancora un
bel po’ poi si alzarono e uscirono.
Mark
fu l’ultimo ad uscire e mentre percorreva la sala mi vide che ero dall’altra parte del locale
e mi guardò io gli diedi solo una rapida
occhiata poi allontanai il mio sguardo dalla sua persona per fargli capire che
non mi interessava e mi voltai per andare in un’altra sala dove c’era bisogno
di me.
Quando dopo dieci minuti mi avvicinai alla
tavola per sparecchiare sentii un forte odore di Patchouli, ero convinta che il tovagliolo si fosse impregnato del
suo profumo in realtà Mark era dietro di me e lo sentii dire: “Ho dimenticato
questi” e mentre lo diceva prendeva la custodia degli occhiali e mi guardò.
“Scommetto che me li avresti portati domani” io guardandolo negli occhi con aria
di sfida risposi: “ Li stavo buttando nella pattumiera perché non mi venisse
questa tentazione”. Lui mi guardò sorridendo e si allontanò per poi uscire
definitivamente dal locale.
Mentre
sparecchiavo non facevo che pensare a lui. Era stata una strana serata. Aveva
fatto di tutto per provocarmi e io stupida ero caduto nel suo gioco. Era
talmente annoiato che si era abbassato a punzecchiarmi, ma la prossima volta
non ci sarei cascata.
Arrivai
a casa piuttosto stanca. Ero a pezzi, avevo veramente bisogno di una vacanza.
Più ci pensavo e più sapevo che non era possibile e più mi sentivo stanca. Era
come il gatto che si morde la coda senza soluzione.
Mi avvicinai al telefono per ascoltare la
segreteria telefonica. C’erano dei
messaggi e li ascoltai. Uno era di Susan che mi aveva trovato la soluzione per
le mie vacanze, un altro del mio prof che mi dava appuntamento per l’indomani
mattina.
Feci una doccia e poi mi ficcai sotto le coperte
e mentre mi rilassavo mi ritornò in mente il viso di Mark bello, il suo sorriso
invitante, il suo sguardo intrigante e la sua voce calda.
Mi
girai di scatto dicendomi basta, smettila, dormi, ma faticai parecchio prima di
prendere sonno.