.....Xangò fabbricò un grano di collana che era bianco e rosso, e lo consegnò ad Archanjo dicendogli, con la sua voce di tuono e tempesta: " Ojuobà ascolta, e impara questa fattura: quando la iaba già sarà legata per la testa e per i piedi, addormentata e arresa, infila questo grano nel suo subilatorio e aspetta senza timore il risultato: succeda quel che succeda, non lasciare il tuo posto, aspetta." Archanjo toccò terra con la fronte e disse: "Axè."
Poi andò a prendere un bagno di foglie, scelte una per una da Ossain. Nel moiele e nell'acqua di pitanga, nel sale e nella pimenta malagueta preparò l'arma e la vide crescere, inconsueto bordone da pellegrino. In tasca nascose il kelè e lo xaoro, e il cuore di colomba, il grano bianco e rosso di Xanfò. Sulla porta della bottega aspetta che lei arrivi.
Appena comparve sull'angolo cominciarono, approcci non ce ne furono, né corteggiamento: non appena la iaba si mostrò, il membro le andò incontro, s'arrampicò su per le gonne inamidate, assalendola lì sul posto, fatto a misura per lei: fuoco contro fuoco, miele contro miele, sale con sale, pepe con pepe e malagueta. Raccontare quella battaglia, quella guerra di due abilità, l'assalto della giumenta col cavallo, il miagolio della gatta in calore, l'ululato del lupo, il grugnito del cinghiale selvaggio, il singhiozzo della fanciulla nell'attimo di diventare donna, il tubare del colombo, il respiro della mareggiata - raccontarla, amore mio, chi lo potrebbe?
Rotolarono allacciati giù per l'erta e andarono a finire nell'arenile del porto, e attraversarono la notte. La marea crebbe e se li portò via; in fondo al mare proseguirono la folle cavalcata, in insano furore.
La iaba non si aspettava una tale resistenza; a ogni mancamento di Archanjo la scomunicata pensava con speranza e con rabbia: "Ora il possente vacillerà stremato!" Ma, al contrario, anziché afflosciarsi cresceva il pungiglione, in fuoco e carezze.
Neppure avrebbe immaginato tanto piacere: scudiscio di miele, pepe e sale, delizie delle delizie, fenomeno mai visto, meraviglia. Ahi! gemè la iaba disperata, almeno potessi....Non poteva.
Tre gioirni e tre notti durò la gran battaglia, gioco sublime senza intervalli: diecimila rese, un solo assalto; e la iaba tanto si accanì nel suo furore illimitato, che d'improvviso le venne un soprassalto e in piacere sbocciò come s'apre il cielo alla pioggia. Irrigato il deserto, interrotta l'aridità, vinta la maledizione - osanna e alleluja!
S'addormentò allora, soddisfatta femmina ma non donna ancora, ah no!
Nella stanza di Archanjo, dove ombre e odori si mescolavano, dormiva bocconi la iaba: un'intemperanza, uno sproposito di negra, uno schianto. Quando il suo respiro cominciò a cantare le infilò il kelè al collo e lo xaoro alla caviglia e così sua suddita la tenne. Poi, con delicatezza da baiano, nel sublime posteriore infilò il cuore della colomba, grano stregato di Xangò.
Nello stesso momento lei si lasciò sfuggire un urlo, subito seguito da un'esplosione, ambedue spaventosi, sinistri, paurosi, l'aria divenne zolfo puro, fumo mortifero. Un lampeggiare di fulmini sul mare, l'eco sorda del temporale, venti scatenati e tempesta da un lato all'altro dell'universo .Salì al cielo un immenso fungo e spense l sole.
Ma subito tutto si calmò in giubili e bonaccia; l'arcolbaleno distese i suoi colori: Oxumarè che inaugurava la festa e la pace. Al lezzo di zolfo subentrò un odore di rose appena sbocciate e la iaba non più iaba era, ma la negra Dorotèia. Nel suo petto era cresciuto, per arte di Xangò, il cuore più tenero, il più sottomesso e amante. Negra Dorotèia per sempre, con la sua passera di fuoco, e il suo insolente posteriore indomito, il suo cuore di colomba.
Tre gioirni e tre notti durò la gran battaglia, gioco sublime senza intervalli: diecimila rese, un solo assalto; e la iaba tanto si accanì nel suo furore illimitato, che d'improvviso le venne un soprassalto e in piacere sbocciò come s'apre il cielo alla pioggia. Irrigato il deserto, interrotta l'aridità, vinta la maledizione - osanna e alleluja!
S'addormentò allora, soddisfatta femmina ma non donna ancora, ah no!
Nella stanza di Archanjo, dove ombre e odori si mescolavano, dormiva bocconi la iaba: un'intemperanza, uno sproposito di negra, uno schianto. Quando il suo respiro cominciò a cantare le infilò il kelè al collo e lo xaoro alla caviglia e così sua suddita la tenne. Poi, con delicatezza da baiano, nel sublime posteriore infilò il cuore della colomba, grano stregato di Xangò.
Nello stesso momento lei si lasciò sfuggire un urlo, subito seguito da un'esplosione, ambedue spaventosi, sinistri, paurosi, l'aria divenne zolfo puro, fumo mortifero. Un lampeggiare di fulmini sul mare, l'eco sorda del temporale, venti scatenati e tempesta da un lato all'altro dell'universo .Salì al cielo un immenso fungo e spense l sole.
Ma subito tutto si calmò in giubili e bonaccia; l'arcolbaleno distese i suoi colori: Oxumarè che inaugurava la festa e la pace. Al lezzo di zolfo subentrò un odore di rose appena sbocciate e la iaba non più iaba era, ma la negra Dorotèia. Nel suo petto era cresciuto, per arte di Xangò, il cuore più tenero, il più sottomesso e amante. Negra Dorotèia per sempre, con la sua passera di fuoco, e il suo insolente posteriore indomito, il suo cuore di colomba.