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sabato 2 luglio 2016

Il presente stantio

L’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea, esplosione di un bubbone che ha lungamente covato il suo potenziale infettivo, è un fatto estremamente grave a prescindere dalle sue ricadute economiche. Ha un carattere razzista innegabile e non è un fatto isolato, ma espressione di una tendenza generale, diffusa e contagiante, tra i popoli d’Europa. Segnala che il rigetto dell’alterità stia facendo un temibile salto di qualità: l’avversione nei confronti dello straniero risucchia anche il vicino di casa, lo rende irriconoscibile, un estraneo.
Tra i tutti i narcisismi identitari, il più insidioso è quello delle piccole differenze, quando le dispute tra contrade diventano un muro invalicabile. Sostituire la prossimità con l’indifferenza, colpisce l’apertura alla vita nelle sue radici, cancella l’altro come parte di sé. La convinzione di poter fare da soli è il primo passo verso il più catastrofico dei conflitti, quello che si dissocia dal desiderio.
L’analisi del voto rende questa prospettiva, ormai a portata di mano, raccapricciante. Genitori/nonni hanno votato contro il figli/nipoti, in grande maggioranza favorevoli alla permanenza. Non è stato un conflitto generazionale, ma un figlicidio: la rottura della catena di trasmissione tra le generazioni, il rifiuto di passare il testimone, la pretesa di istituire il passato come futuro. Non è una bizzarria inglese: è la mentalità anonima che governa i nostri destini. In definitiva, cos’è il razzismo se non la più radicale chiusura alle trasformazioni, l’impossibilità di riconoscersi nel cambiamento che imprime la presenza di un figlio, del creato comune partorito dall’incontro e dallo scambio?
Sarebbe bello riporre nelle nuove generazioni le speranze di un riscatto, tifare per la loro voglia di ribellarsi. Non è così semplice. Il vecchio governa il mondo impadronendosi del nuovo, corrompendolo. I giovani inglesi saranno favorevoli all’Europa, ma è stata la loro massiccia astensione dal voto, pari al fervore per un mondo aperto, a favorire il campo avversario. Pare che le pessime condizioni meteorologiche non li abbiano invogliati. L’appuntamento con l’avvenire può attendere.
Il principio che sottende la nostra esistenza è il vecchio che non passa: lo stantio. Il cattivo odore lo si percepisce, ma ognuno lo attribuisce a ciò che preferisce (le scelte abbondano). Si ritiene che la saggezza della vecchiaia stia nell’esperienza che consente di calcolare, con uno spirito di prudenza, possibilità e pericoli.
In realtà il vecchio saggio è guidato dalla passione e, memore dei suoi errori, misura la vita con un’inedita apertura del pensiero e degli affetti, che lo riporta a sentirsi giovane. I tempi sono ingenerosi con lui, l’hanno privato del suo specchiarsi nello sguardo ardito dei giovani. Siamo fermi tra la gioventù appassionata che non addiviene e la vecchiaia saggia in pensione, in mezzo ai contabili di tutte le età: l’aritmetica è la loro arte del vivere.
Il legame tra uno sviluppo tecnologico impressionante e la produzione crescente di malessere, mostra che non è la crisi economica a determinare la crisi etica (il disagio della civiltà in cui siamo immersi): è vero l’opposto. La fredda gestione numerica del lavoro e delle risorse, la dittatura impersonale che ci domina, è espressione di una ripetizione del medesimo. Al raggrinzamento della vitalità di un corpo sociale raffermo, corrisponde una concentrazione immensa dei beni materiali.
Non sono beni finalizzati a un piacere reale, ma a riprodurre gli ingranaggi che li producono. Il trionfo annunciato dello scheletro sulla carne viva.
[Sarantis Thanopulos 2/07/2016]

venerdì 1 luglio 2016

La Brexit apre una falla nel Ttip


Poco più di un mese fa è stata istituita la «sala di lettura» presso il Ministero dello Sviluppo Economico del Ttip, il trattato euro-americano sul libero commercio. Una «sala lettura» per permettere ai parlamentari di leggere la bozza dei negoziati in corso. 800 pagine (in nove plichi) da leggere in un’ora (questo il tempo concesso), lasciando fuori della sala di lettura telefonino e computer, senza la possibilità di fare le fotocopie e sotto il controllo vigile di un funzionario del ministero: infatti si possono prendere solo appunti ed è vietato ricopiare le frasi del trattato.
Infatti la bozza del trattato è «segreta»: gli si può dare un’occhiata, ma non troppo. Il Ministro Calenda ha detto che i negoziatori non possono farsi “imbrigliare” dal parlamento e si oppone al diritto dei parlamenti nazionali di ratificare l’altro trattato gemello (tra Unione Europea e Canada): il Ceta. In realtà è il parlamento ad essere imbrigliato (e tenuto all’oscuro) dai negoziatori europei e dal business delle multinazionali (americane ed europee), le vere beneficiarie di questo trattato.
Un trattato che costringerà gli europei (in cambio dell’abbassamento dei dazi americani) ad allentare gli standard ambientali e sanitari su una miriade di prodotti, beni e servizi: dal settore agroalimentare (il cibo che ci mangiamo) a quello tessile, dai servizi pubblici al welfare. Dalle etichettature dei prodotti (avremo meno informazioni su cosmetici e prodotti alimentari) alla sicurezza delle automobili (i test per la sicurezza degli abitacoli saranno ridotti al minimo), dalle denominazione di origine (che fine faranno i nostri Dop e Docg?) agli Ogm (cui si danno nuove chances) fino al mancato rispetto delle convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro: il Ttip è una sorta di Waterloo europea per i diritti sociali e dei lavoratori, per la sicurezza alimentare, per la coesione sociale del nostro continente, per la democrazia. Ci rimetteranno anche i piccoli produttori, che saranno spazzati via dalle nuove regole.
Il tutto sacrificato sull’altare degli interessi delle multinazionali, di una visione ideologica del libero commercio, della supremazia di un mercato senza limiti. Anche a costo di dar vita ad una sorta di arbitrato privato cui gli Stati saranno chiamati a rispondere, nel caso approvino leggi a tutela dei consumatori e dei cittadini (ma che danneggino le multinazionali).
La potestà legislativa degli Stati sarà messa sotto tutela dalle imprese e il principio di precauzione (cioè la cautela su aspetti controversi riguardo alla salubrità di prodotti e merci) andrà alle ortiche: l’onore della prova (se un prodotto fa male) graverà sulle spalle di cittadini e consumatori.
Il prossimo 11 luglio inizierà un altro round di negoziati a Bruxelles tra europei ed americani. Non è detto che si concluda positivamente. I britannici erano tra più strenui sostenitori del trattato e con la Brexit i neoliberisti della Commissione perdono un importante alleato. La Francia si oppone a tante parti del trattato (che danneggerebbe numerosi suoi beni e servizi: prodotti alimentari, settore audiovisivo,), mentre l’Italia, con il ministro Calenda, continua ad essere allineata nelle schiere degli ortodossi del Ttip.
La campagna Stop Ttip (che organizza il prossimo 5 luglio alla Camera dei deputati un importante confronto con il Ministro dello Sviluppo Economico) invita il nostro governo alla trasparenza, al coinvolgimento del parlamento e dice una cosa che va sostenuta: bisogna togliere il mandato di negoziare ai funzionari di Bruxelles. Bisogna ricondurre il potere di decidere su materie così importanti al parlamento europeo e alle assemblee elettive nazionali.
Magari qualcuno, su a Bruxelles, può pensare che dopo la Brexit, si tratta ora di dare un forte segnale di decisionismo europeo, accelerando e concludendo la trattativa sul Ttip. Sarebbe una sciagura che pagheremmo cara: un ulteriore regalo al neoliberismo, alle multinazionali e alle lobby. Così si costruisce l’Europa dei mercanti, non dei cittadini. E non si va lontano.
[Giulio Marcon 1/07/2016]