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martedì 28 ottobre 2014

Vacanze a sorpresa 2


Alle 18 entrai puntuale in pizzeria per il mio turno serale. Erano anni che lavoravo in questa pizzeria a conduzione familiare, da quando avevo iniziato a frequentare l’università anche perché la borsa di studio non era sufficiente per pagare l’appartamento, le bollette, e mettere via i soldi per andare a Londra.

Pablo il capo famiglia mi accolse come sempre con il suo caloroso sorriso: “Ciao Piccola come va?” Lo guardai con affetto e risposi ricambiando il suo sorriso: “ Bene Pablo”. Girai attorno al bancone ed entrai in cucina dove c’era Rosa la sua voluminosa mogliettina che era già super impegnata a mescolare, affettare, rosolare verdure, carne, pesce con magica maestria. Rosa alzo il viso e senza dire nulla mi sorrise poi con aria pacata mi disse: “Questa sera ci sono due tavolate di 15 e 12 persone, metterei quelli da 15 nella saletta blu e quelle da dodici nella saletta pesca e gli altri in quella solita davanti.” La guardai annuendo e andai nella stanzetta lì accanto a cambiarmi.

Poco dopo arrivarono i figli Miriam e David che poco dopo aver salutato i presenti, con me iniziarono a sistemare le salette in attesa degli avventori. Ognuno di noi si occupava di una sala e mentre si lavora si rideva e scherzava in piena armonia. Io oramai ero della famiglia e mi trattavano come tale.

Verso le 19.30  iniziarono ad arrivare i primi clienti, che ordinavano le pizze da portar via.

 Alle 20.00 arrivarono le persone che avevano prenotato le due tavolate e con mio disappunto in uno dei due gruppi c’era Mark  Nicholson. Non era la prima volta che veniva lì, ma vederlo due volte di seguito in un solo giorno era troppo. Cercai di mettermi d’accordo con David il figlio più grande di Pablo in modo che fosse lui a servire  la saletta dove c’era Mark, ma Pablo mi precedette e mi chiese di seguirli personalmente perché ero molto più professionale e con i ragazzi sapevo farmi rispettare. Così dovetti fare buon viso a cattiva sorte e dopo aver fatto un profondo sospiro e dopo averli fatti accomodare, presi il mio tablet e mi avvicinai alla tavolata.

Mi posizionai in modo da avere Mark alla mia sinistra, perché non lo volevo avere di fronte. Salutai cortesemente e chiesi: “Cosa vi posso portare da bere?”. Naturalmente c’era chi voleva la coca, chi la birra chi  l’aranciata. Una volta sentite le richieste. Alzando un pò il tono di voce in modo da attirare la loro attenzione chiesi: “Quindi quante coche?” mi sentii rispondere: “Tre”. Continuai. “ Quante birre piccole, e quante medie”. Risposero: “Tre piccole e due grandi”. Continuai: “Quante aranciate?”. “Due”. Contai le ordinazioni era una tavolata di 12 persone, avevo undici ordinazioni. Chiesi: “Chi manca, chi deve ancora ordinare?” Senza nemmeno girarmi, sapevo che chi ancora non aveva ordinato era Mark.

Lo sentii dire: “Devo ordinare io”. Mi girai lentamente dalla sua parte e con un sorriso sforzato chiesi educatamente: “Prego”. Lui guardandomi negli occhi intensamente dopo un po’ di tempo che mi parve lunghissimo mi disse: “Un calice di vino rosso della casa”. Seguì un sorriso sforzato per ricambiare il mio. Mentre mi giravo per andare via aggiunse: “Non freddo, detesto il vino rosso freddo”. Lo guardai e risposi con una dolcezza esagerata in modo che capisse che lo stavo facendo apposta. “Naturalmente, lei è un vero intenditore”. Mi sarebbe piaciuto aggiungere dell’altro, ma ero nel locale di Pablo ed il cliente aveva sempre ragione. Così mi morsi la lingua  e andai al bancone a preparare il vassoio con le ordinazioni.

La mia tentazione istantanea  sarebbe stata quella di mettere del pepe nel bicchiere del mio simpatico conoscente, ma ero nel locale di Pablo e non potevo.

Terminai di preparare i vari bicchieri e con una mano sotto il vassoio mi diressi verso il tavolo che stavo servendo distribuendo ai commensali le bibite ordinate. Per ultimo rimase il calice di vino e professionalmente lo porsi a Mark senza guardarlo in viso ma mentre mi avvicinavo gli sfiorai la spalla e in quel momento sentii il suo profumo molto maschile che mi colpì le narici dandomi un brivido sensuale.

Chiusi un attimo gli occhi mentre istintivamente aspiravo quel profumo, in quel momento mi accorsi che lui si era girato e mi guardava e sulla sua bocca gli comparve un sorriso sornione facendomi arrossire immediatamente. Si avvicinò a me e disse: “Patchouli”. Lo guardai e arrossi ancor di più, mi allontanai velocemente vergognandomi come una ladra. Mi piacevano i profumi sia quando li portavo io sia quando li sentivo addosso agli altri, mi intrigavano tanto. La cosa che più mi dava fastidio era che dovevo ammettere che Mark portava un profumo che mi piaceva molto.

Passarono 15 minuti, cercai di  farmi passare l’agitazione e tornai al loro tavolo questa volta mettendomi all’estrema destra, il più lontano possibile da Mark e dal suo profumo così conturbante.

Presi tutte le ordinazioni,  ma come prima con le bibite, era una tavolata da 12 ma avevo solo undici ordinazioni. Chiesi chi dovesse ancora ordinare ben sapendo chi doveva ancora farlo. Sentii la voce di Mark che diceva: “Scusa puoi ripetermi tutto da capo perché ero un po’ distratto?” Mi sforzai di essere più disinvolta possibile e mi avvicinai a lui  e il suo profumo mi colpì intensamente le narici dandomi un brivido piacevole. Rilessi il foglio con il menù conscia di avere il suo sguardo fisso su di me. Quando finii di leggere alzai gli occhi verso di lui guardandolo, lui ricambiò il mio sguardo e molto lentamente con una voce molto dolce e calda mi disse: “Non so cosa prendere,  cosa mi consigli?”. Feci finta di non cogliere  il modo sensuale con cui si rivolse a me come se invece di ordinare una bistecca mi stesse invitando ad uscire con lui. Risposi in modo spiccio senza guardarlo: “E’ tutto molto buono, ma la zuppa con pollo al limone è squisita”. Allora lo sentii dire: “Bene allora zuppa di carote con prugne avvolte nel bacon”. Facendo uno sforzo immane per non  dirgli quello che in quel momento mi passava per la testa mi allontanai velocemente.

Quando arrivai in cucina diedi libero sfogo alla mia rabbia. Raccontai per filo e per segno cosa mi era appena successo e dopo aver sentito il mio racconto scoppiarono tutti in una bella risata che contagiò anche me e fece sbollire la rabbia che covavo dentro. Dovevo smetterla di arrabbiarmi per queste sciocchezze, lo sapevo che faceva di tutto per farmi dei dispetti, dovevo solo essere superiore a lui e non prendermela come avevo appena fatto. Era da sciocche assecondarlo in quella maniera.

Fortunatamente i commensali mangiavano con gusto apprezzando i patti e anche Mark finì il suo e quando arrivò il momento di ordinare il dessert anche in questo caso l’ultimo ad ordinare fu lui ma io non ci diedi peso, ripetei la lista dei dolci della casa e lui ovviamente dopo avermi chiesto consiglio prese un gelato che poi lasciò che si sciogliesse nella ciotola.

Quando fu ora di chiedere il conto, tirai un respiro di sollievo perché non vedevo l’ora che se ne andassero via dal locale, ma rimasero a chiacchierare ancora un bel po’ poi si alzarono e uscirono.

Mark fu l’ultimo ad uscire e mentre percorreva la sala  mi vide che ero dall’altra parte del locale e  mi guardò io gli diedi solo una rapida occhiata poi allontanai il mio sguardo dalla sua persona per fargli capire che non mi interessava e mi voltai per andare in un’altra sala dove c’era bisogno di me.

Quando dopo dieci minuti mi avvicinai alla tavola per sparecchiare sentii un forte odore di Patchouli, ero convinta che il tovagliolo si fosse impregnato del suo profumo in realtà Mark era dietro di me e lo sentii dire: “Ho dimenticato questi” e mentre lo diceva prendeva la custodia degli occhiali e mi guardò. “Scommetto che me li avresti portati domani” io guardandolo negli occhi con aria di sfida risposi: “ Li stavo buttando nella pattumiera perché non mi venisse questa tentazione”. Lui mi guardò sorridendo e si allontanò per poi uscire definitivamente dal locale.

Mentre sparecchiavo non facevo che pensare a lui. Era stata una strana serata. Aveva fatto di tutto per provocarmi e io stupida ero caduto nel suo gioco. Era talmente annoiato che si era abbassato a punzecchiarmi, ma la prossima volta non ci sarei cascata.

Arrivai a casa piuttosto stanca. Ero a pezzi, avevo veramente bisogno di una vacanza. Più ci pensavo e più sapevo che non era possibile e più mi sentivo stanca. Era come il gatto che si morde la coda senza soluzione.

 Mi avvicinai al telefono per ascoltare la segreteria telefonica.  C’erano dei messaggi e li ascoltai. Uno era di Susan che mi aveva trovato la soluzione per le mie vacanze, un altro del mio prof che mi dava appuntamento per l’indomani mattina.

Feci una doccia e poi mi ficcai sotto le coperte e mentre mi rilassavo mi ritornò in mente il viso di Mark bello, il suo sorriso invitante, il suo sguardo intrigante e la sua voce calda.

Mi girai di scatto dicendomi basta, smettila, dormi, ma faticai parecchio prima di prendere sonno.

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