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domenica 23 novembre 2014

Nel cerchio magico 2


Quando uscivano dall’acqua prima di sdraiarsi ad asciugarsi passavano sotto la doccia e in quel momento le mani di Tomas l’accarezzavano senza ritegno Alva lo bloccava e si allontanava da lui.
Quando era ora di ritornare a casa piegavano gli asciugamani, prendevano le loro cose e mentre le avvicinava il pareo per aiutarla ad indossarlo lui si avvicinava al suo orecchio e mentre si chinava per dirle che era molto bella con le labbra le mordeva e lambiva l’orecchio provocandole dei brividi umidi e sospiri di piacere.
Alva non sapeva cosa pensare di tutte queste avances, questi ripetuti attacchi di Tomas per vincere la sua resistenza, il suo pudore la disorientavano. Il suo corpo fremeva a quelle carezze, era avido per inclinazione, riservato per pudore.
Quell’ultima sera forse il vestito che indossava era particolarmente carino, lui era molto galante, forse una birra in più fatto sta che mano nella mano si erano appartati dagli altri, scesero sulla spiaggia buia attratti dall’oscurità della notte. La serata era magica e Alva si sentiva molto eccitata. Camminavano e ad un certo punto Alva mise il piede male e stava per cadere ma prontamente Tomas la strinse a sé abbracciandola dal di dietro, premendole i seni e baciandole rapido la nuca. Lei poi con un brivido sentì la mano carezzevole che saliva sotto il vestito, bruciandole le cosce e le anche.

Ma con un rapido gesto si allontanò da lui perché sapeva che se fosse rimasta lì accanto a lui anche solo un istante non sarebbe più riuscita a controllarsi, sorpresa della reazione del suo corpo a quelle carezze. Senza pensarci alzo la mano e lo schiaffeggio.
Lui ci rimase molto male: portò la mano alla guancia, la guardò e sussurrò con astio: “La principessa non vuole essere baciata?” Alva rispose tutta agitata per le sensazioni che aveva provato e rispose: “Non mi stavi solo baciando”. Lui ironico rispose: “Non mi pareva ti desse tanto fastidio”. Lei rispose piccata: “Ti sbagli”. Allora in tono ironico ribatté: “Scusa. Mi sono sbagliato”.
Ormai la serata era rovinata, nessuno dei due parlò per un bel pezzo mentre rientravano all’appartamento. Quando arrivarono in vista della casa lui la salutò e montò in macchina e sparì nel buio della notte. Alva rimase sola a ricordare al buio la sensazione eccitante che aveva provato in quell’attimo tra le sue braccia.
Aveva scambiato qualche bacio con qualche ragazzo, collega di studi ma erano niente in confronto a quelli di Tomas. Ogni volta che ci ripensava aveva un brivido intenso che la stordiva.
Anche quella sera la sua vicinanza era stata così piacevole, la sensazione che aveva provato così forte che non riusciva a non pensare a quella sera di circa tre anni fa.
Maledizione, ora i ragazzi parlavano di una vedovella che andava a trovare ogni sera. Un uomo sano e vigoroso come lui aveva certe esigenze. Alva immaginava che non viveva come un monaco, sicuramente la signora le riscaldava il letto e soddisfaceva le sue richieste.
Cercò di non pensare a Tomas ma se lo immaginava mentre stringeva la vedovella tra le sue braccia, la baciava, la accarezzava come sarebbe piaciuto essere baciata e accarezzata lei.
Ad una certa ora fecero ritorno a casa  e si sforzo di non pensarci più, lei ora doveva pensare a riposarsi e poi doveva pensare al suo lavoro e nulla più.
Passò un po’ di tempo prima di rivedere Tomas, capitò a casa sua una mattina perché cercava suo padre per affari. Alva quella mattina aveva deciso di lavare la macchina e aveva indossato un paio di pantaloncini corti e una camicia che aveva legato in vita per comodità.
Quando arrivò Tomas la vide in quella tenuta e quando scese dalla macchina iniziò a fissarla con insistenza, le si avvicinò e le chiese con voce roca: “Ti serve una mano?” Alva si chinò per prendere la spugna dal catino senza rendersi conto che così facendo dalla scollatura metteva in bella vista il seno che spuntava dalla camicetta. Tomas ironico aggiunse: “Un po’ più in giù prego” Alva rendendosi conto a cosa stava facendo riferimento si tirò su di colpo e gli lancio la spugna bagnata in faccio urlandogli: “Sporcaccione”
Tomas le si avvicinò e con la mano che le scendeva giù per la nuca e per lo scollo della camicetta, in cammino verso i seni la immobilizzò e iniziò a baciarla sempre più esigente vincendo la sua resistenza. Non poteva lasciarlo fare lo desiderava ma non voleva cedergli.
Ad un certo punto tra un bacio e l’altro si divincolò e stava per alzare una mano ma lui la blocco: “Non hai perso l’abitudine di schiaffeggiare i tuoi ammiratori.” Le bloccò le mani dietro alla schiena e le catturò nuovamente le labbra e la baciò con una passione travolgente, poi la lasciò andare bruscamente. Stava per cadere  se non ci fosse stato lui rapido a sostenerla stringendola ancora a se.
La lasciò e con tono scostante le disse: “Di a tuo padre che l’ho cercato” poi come nulla fosse montò in macchina e se ne andò.
Alva rimase bloccata per un bel pezzo, sentiva ancora il calore delle sue labbra e le carezze delle sue manie su tutto il suo corpo.
Era sconvolta, incapace di muoversi. Non riusciva a calmarsi si sentiva il cuore in gola e il respiro era affannoso. Si appoggiò alla macchina e quando si sentì più salda sulle gambe si incamminò verso casa stordita. Andò in camera sue e si diresse verso la doccia e dopo aver lasciato i vestiti sul pavimento lasciò scendere l’acqua sul suo corpo incapace di reagire. Miscelò l’acqua in modo che scendesse solo acqua fredda e quella sferzata di acqua sul suo corpo la riportò alla realtà e riprese a pensare normalmente.
Così non andava bene. Tomas la desidera era evidente, i suoi sguardi lo dicevano, la sua voce , le sue carezze, ma non capiva poi perché dopo quei loro abbracci travolgenti lui scomparisse dalla circolazione e la evitasse. Molto probabilmente non voleva farsi vedere con lei. Temeva la gelosia della vedova o era solo attratto da lei?
Passò diverso tempo prima che potesse rivederlo, e la sensazione che lui non si fermasse negli stessi luoghi che lei solitamente frequentava le confermava la sua teoria. Le capitò un paio di volte che era all’emporio a fare le commissioni per suo padre e vide la macchina di Tomas passare, ma quando lui si accorse che il suo gippone era parcheggiato nei pressi invece di fermarsi tirò dritto.
Alva era molto contrariata, ma non poteva farci nulla, Un giorno però suo padre le chiese: “E’ un pezzo che non vedo Tomas, lo hai visto recentemente?” Alva gli rispose: “No! Sto andando dal dott. Salazar se vuoi visto che sono di strada passo da lui e gli dico che lo cerchi.”
Naturalmente aveva voglia di rivederlo ed era curiosa di capire come avrebbe agito vedendosela davanti. Arrivò da Tomas che abitava a circa quattro km da casa sua e 8 dal paese. Aveva una bella casa con un giardino molto ben curato. Parcheggiò davanti alla veranda e lo chiamò. Non vide nessuno. Fece il giro della casa e lo trovò dietro che sistemava la legna.
Era a torso nudo e appena si accorse di lei le disse in tono duro: “Cosa ci fai qui?” Si vedeva chiaramente che era irritato di vederla lì. Alva senza scomporsi gli disse: “Mio padre ha bisogno di parlarti, mister gentilezza!” Lui la guardò in modo torvo e rispose: “Adesso che hai fatto la tua ambasciata puoi anche andartene.”
Alva per nulla impressionata continuò: “Oh! E la famosa ospitalità che fine ha fatto signor Tomas Farah.” Lui sempre più cupo le rispose: “Ho da fare e non ho tempo da perdere con te.” Lei sorridendo aggiunse:  “Che tu non abbia tempo da perde con me è evidente, come è evidente che mi stai evitando.”
Lui la guardò senza negare la sua affermazione e aggiunse: “Quando te ne ritorni in città?” Lei scocciata rispose: “Non ritorno in città ho intenzione di rimanere. Qui ho mio padre e le persone a cui voglio bene. Voglio lavorare con il dott. Salazar .”

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