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domenica 26 aprile 2015

70 anni dalla liberazione



Volevo condividere un articolo comparso su "il Venerdì" di Repubblica del 24 aprile.
Era il 1939  quando Hitler e Mussolini "regalano" ai sudtirolesi l'opzione di diventare cittadini tedeschi con l'obbligo di lasciare campi e valli per emigrare in Germania e partecipare al trionfo del Terzo Reich. Per chi non parte, l'ignominia di restare per sempre italiano, walscher, insulto spugnoso: condensa il disprezzo della società ariana nei gironi dei disobbedienti sorvegliati dalla Gestapo di Himmler. I genitori di Franz e altri contadini scelgono di restare. Li convince il canonico Gamper: spoglia la retorica delle trombe tedesche, respinge le voci della deportazione in Sicilia a chi rifiuta la nuova patria. E padri e madri firmano il "no" anche per i figli piccoli: non partiamo. Diventano dableiber, falsi cristiani, donnacce, frequentatori di bordelli. La propaganda li trasforma in traditori da sbeffeggiare e poi da perseguitare nei 600 giorni dell'occupazione nazista di Bolzano: dal settembre '43 alla liberazione.
L'adolescenza è un passaggio che può essere crudele. Franz, solo nel suo banco di scuola. Spariscono le piccole maestre arrivate dal Sud. Al primo appello, Durnholz, nuovo insegnante arrivato dalla Germania, vuole sapere da quale famiglia vengono gli scolari. Chiama Franz e i compagni sghignazzano è un walscher. "Il maestro mi fissa e poi sillaba: torna a casa". Insegno solo ai ragazzi tedeschi". Franz se ne va con la testa che gira. "Triste, molto triste". Arrivano bande bavaresi che sfilano nell'allegria di un carnevale dal quale vengono esclusi quelli che non hanno votato per andare via. Nelle osterie la sedia dove è seduto un walscher viene pulita prima di offrirla ad altri avventori.
Nella primavera del '44 il ragazzo passa la visita di leva assieme ad altri dobleiber. Terrorizzato.
Girano notizie sulle atrocità dei campi tedeschi. Gli amici lo consigliano: nasconditi in montagna. Ma di un walscher non si fidano e un informatore si offe di accompagnarlo a Bolzano per spiegare al giovanotto cresciuto nelle malghe “come si prende il treno per Silandro” paese dove 3.315 abitanti (su 3.333) sono emigrati in Germania. Franz capisce che da lì non può scappare. Nella valigia ripiega lo zaino con qualcosa da mangiare. Appena solo, se ne libera, lascia il treno attorno a Bressanone: a piedi torna nei suoi boschi. La scommessa è tirare avanti con una pentola e una ciotola e ogni tanto cambiare le baracche dei fienili seminati nei campi. La notte bussa a porte sicure. “Immaginavo di arrivare così sino alla fine della guerra” ma un giorno lo raggiunge il padre disperato; un’ordinanza del gauleiter Hofer condanna a morte i disertori. Familiari da rinchiudere nei campi di lavoro. Povero vecchio che ha combattuto cinque anni nella Prima guerra Mondiale; "Piangendo mi prega di costituirmi". E Franz si presenta  alla caserma a Silandro. Prima notte in prigione, come compagno un condannato a morte, per aver disertato. Sul banco del tribunale, dieci SS. "Non esco vivo" si tormenta Franz. Ascolta la sentenza con gli occhi chiusi: "solo" dieci anni di lavori forzati perché minorenne e perché in fondo ha ritrovato la ragione........
Non un pezzo di carta né la matita per raccontare la felicità del primo incontro con gli americani, nello spogliatoio delle SS di Dachau. Domenica 29 aprile 1945Franz Thaler compie vent'anni steso sul pagliericcio che non riesce ad abbandonare. Sfini dalla fame, scheletro di trenta chili. Camminare è lo strazio dei piedi piagati. Piange immaginando il dolore di padre, madre, fratelli quando sapranno della sua fine.....
Due compagni lo aiutano ad alzarsi. Gli spari della notte fanno capire che la liberazione è vicina. Kapò spariti e Franz si rianima nel sole della primavera. "Sembravo un bambino piccolo che cammina malsicuro sulle gambe". Eppure all'improvviso si slega dal passato. "Nessuno può capire cosa significasse per noi la parola libertà senza aver vissuto i mesi della nostra speranza......



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