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domenica 26 ottobre 2014

Vacanze a sorpresa 1


Stavo percorrendo il portico della facoltà per andare al bar a prendere un caffe, dato che non ero riuscita a fare colazione a casa, quando in lontananza vidi Susan che veniva dalla mia parte.

Io e Susan ci eravamo  conosciute alla mensa della facoltà e tra noi due era nata una sincera e solida amicizia basata sul rispetto e la stima reciproca. Era una biondina minuta con un visetto angelico e un caschetto di morbidi riccioli biondi che le incorniciavano il viso sorridente. Io ero tutto l’opposto: una massa di capelli neri con dei riccioli ribelli che non riuscivo a domare con nessun tipo di schiuma, olio, gel o lacca in commercio nei negozi per parrucchieri; mi ero oramai rassegnata a lasciarli liberi trattenuti solo da una fascia colorata.

Quando mi raggiunse mi fece uno dei suoi sorrisi solari e mi disse allegramente: ”I tuoi pantaloni sono stupendi …non passerai certamente inosservata oggi!” e si mise a ridere allegramente. In effetti oggi avevo indossato la prima cosa pulita che avevo trovato sulla poltrona, erano tre giorni che la mia lavatrice non aveva voglia di funzionare, avevo chiamato il tecnico, ma ancora non si era fatto vedere. Io la guardai imbronciata e risposi sbuffando: “Lo so che non sono i pantaloni da mettere per venire qui, ma non potevo venire in mutande, la mia lavatrice ha deciso di prendersi un po’ di ferie e sto aspettando una buona anima che la sistemi!”.

Ci dirigemmo verso il bar e appena entrata notai che vicino alla cassa c’erano Mark  Nicholson con i suoi amici e appena si accorse di noi, iniziò a guardare insistentemente dalla nostra e a parlare con i suoi amici evidentemente di me e Susan perché poco dopo si girarono e si misero a ridere guardandoci.

Tra me e Mark non c’era molta simpatia; per essere sincere non ce ne era mai stata, ma le cose peggiorarono da quel giorno che aveva parcheggiato il suo SUV nella zona riservata alle biciclette. Io quando avevo visto il macchinone che occupava prepotentemente l’area che non gli era riservata chiamai i vigili che gli fecero la multa e fecero portare via l’auto da un carro attrezzi. In quel momento non sapevo che era la sua, lo venni a sapere dopo, lui non fece scenate, ma ogni volta che mi incontrava faceva una battutina velenosa nei miei riguardi.

Mark era pieno di soldi, veniva in facoltà perché altrimenti non sapeva come occupare il suo tempo, era un ragazzo intelligente, ma preferiva giocare a baseball, stare con le belle ragazze, e naturalmente non fare esami o perlomeno ne faceva lo stretto necessario. Era un bel ragazzo con dei bei capelli castani che portava scomposti nel modo giusto, occhi grigi profondi, una leggera barbetta incolta, una bella bocca sensuale ,  fisico atletico, avrebbe potuto fare tranquillamente il modello. Uno di quei ragazzi che facevano girare la testa. Non dico che io ero immune alla sua bellezza però non sopportavo la sua prepotenza, sembrava che tutto gli fosse dovuto. Il classico figlio di papà che era abituato ad avere tutto.

Questa mattina naturalmente guardavano i pantaloni che indossavo, non erano niente di particolare però erano molto orientali, quel genere di indumento che indossano le donne indiane: la stoffa era molto bella ma certamente devo ammettere che erano molto particolari.

Quando io e Susan ci avvicinammo alla cassa del bar pe fare l’ordinazione sentii Mark  che parlando a voce alta con i suoi amici diceva: “Forse ha scambiato le sue tende con un paio di pantaloni” e mentre lo diceva guardava con fare provocatorio dalla mia parte. I suoi amici ridevano io rossa dalla rabbia senza guardarlo in faccia replicai: “I miei sono una paio di pantaloni che sembrano una tenda la tua però è una tovaglia che sembra una camicia”. Facendo riferimento alla camicia a scacchi che portava addosso. I suoi amici e lui risero e replicò: “Sempre la risposta pronta eh!” Non aggiunsi altro e con Susan ci avvicinammo al bancone per prendere le nostre ordinazioni.

Mentre ci spostavamo lanciai uno sguardo di sfida a Mark che mi fece uno dei suoi sorrisi provocatori e il suo sguardo diceva chiaramente: “Con me non la spunti!”.

Prendemmo la nostra brioche ed il cappuccino e ci sedemmo in uno dei tavolini il più lontano possibile da Mark e dai suoi amici che stavano muovendosi verso l’uscita senza prima aver dato un'ultima occhiata al mio abbigliamento.

Mi sedetti in una delle sedie facendo un respiro infastidito e dicendo rivolta a Susan: “Possibile che devono per forza dare fastidio a chi gli ignora?” Susan saggiamente replicò: “Lo sai che dal giorno che gli hai fatto portare via il SUV ogni occasione è buona per fartela pagare.” ”Lo so” risposi “Non è colpa mia se mi danno fastidio i  prepotenti che credono di essere i padroni del mondo, solo perché ha un conto corrente con sei zeri. Non ha mai fatto fatica nella sua vita, tutti devono essere ai suoi piedi, riverirlo, adularlo, quanto mi irrita quel tipo.” “E pensare che all’inizio mi stava pure simpatico! Che sciocca! Ma cambiamo argomento.”

“Allora Susan hai deciso dove andare in vacanza?” Susan mi guardò col suo sguardo pensoso e mentre emetteva un lungo sospiro diceva: “Mi piacerebbe andare al mare, ma non so dove, i miei vogliono portarmi a Rodi io invece vorrei andare in Italia, mentre Paul vuole andare in Spagna. E’ proprio difficile decidere e tu?” Io la guardai tristemente e risposi: “Ho tanta voglia di andare in vacanza, ne ho proprio bisogno, ma i soldi che ho messo da parte mi servono per andare a Londra e non posso permettermi di spenderli per una vacanza.”

Susan mi guardò e replicò: “Ma non puoi sempre studiare e lavorare, hai bisogno anche tu di un po’ di pausa, non sei fatta d’acciaio!” La guardai sconsolata e aggiunsi: “Lo so ti posso garantire che darei non so cosa per due o tre giorni di pausa, ma non posso permettermelo, non ora!” Addentai la mia brioche e con tristezza bevvi un sorso del cappuccino. Quella schiuma densa e soffice nella mia tazza mi faceva venire in mente la schiuma delle onde del mare, che voglia di prendermi una vacanza, ne avevo proprio bisogno, ma non quest’anno.

Finimmo di fare colazione poi ci alzammo ed uscimmo dal bar io per andare a parlare con il mio relatore e Susan a lezione, dopo esserci scambiate un bacio ci separammo allegramente.

Parlare delle vacanze mi aveva messo malinconia. Questi erano gli ultimo sforzi, tra non molto mi sarei laureata poi mi aspettava un anno a Londra dove avrei fatto ricerca per il mio relatore che aveva bisogno di avere una persona che facesse il topo di biblioteca per lui: a me andava bene, mi avrebbe pagato un buon stipendio, avrebbe fatto curriculum e poi andare a Londra era il mio sogno.

Arrivai ai laboratori, mi avvicinai allo studiolo del prof. Goldreyer e poco dopo bussai, sentii la voce del professore che diceva avanti e abbassando la maniglia della porta per aprirla, entrai. Lo trovai assorto a leggere e quando poco dopo alzò il viso per salutarmi, mi fece cenno di avvicinarmi e mi fece vedere con orgoglio il manoscritto che aveva tra le mani.

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