Stavo percorrendo il portico della facoltà per
andare al bar a prendere un caffe, dato che non ero riuscita a fare colazione a
casa, quando in lontananza vidi Susan che veniva dalla mia parte.
Io e Susan ci eravamo conosciute alla mensa della facoltà e tra noi
due era nata una sincera e solida amicizia basata sul rispetto e la stima
reciproca. Era una biondina minuta con un visetto angelico e un caschetto di
morbidi riccioli biondi che le incorniciavano il viso sorridente. Io ero tutto l’opposto:
una massa di capelli neri con dei riccioli ribelli che non riuscivo a domare
con nessun tipo di schiuma, olio, gel o lacca in commercio nei negozi per
parrucchieri; mi ero oramai rassegnata a lasciarli liberi trattenuti solo da
una fascia colorata.
Quando mi raggiunse mi fece uno dei suoi sorrisi
solari e mi disse allegramente: ”I tuoi pantaloni sono stupendi …non passerai
certamente inosservata oggi!” e si mise a ridere allegramente. In effetti oggi
avevo indossato la prima cosa pulita che avevo trovato sulla poltrona, erano
tre giorni che la mia lavatrice non aveva voglia di funzionare, avevo chiamato
il tecnico, ma ancora non si era fatto vedere. Io la guardai imbronciata e
risposi sbuffando: “Lo so che non sono i pantaloni da mettere per venire qui,
ma non potevo venire in mutande, la mia lavatrice ha deciso di prendersi un po’
di ferie e sto aspettando una buona anima che la sistemi!”.
Ci
dirigemmo verso il bar e appena entrata notai che vicino alla cassa c’erano Mark Nicholson con i suoi amici e appena si
accorse di noi, iniziò a guardare insistentemente dalla nostra e a parlare con
i suoi amici evidentemente di me e Susan perché poco dopo si girarono e si
misero a ridere guardandoci.
Tra me e Mark non c’era molta simpatia; per
essere sincere non ce ne era mai stata, ma le cose peggiorarono da quel giorno
che aveva parcheggiato il suo SUV nella zona riservata alle biciclette. Io
quando avevo visto il macchinone che occupava prepotentemente l’area che non
gli era riservata chiamai i vigili che gli fecero la multa e fecero portare via
l’auto da un carro attrezzi. In quel momento non sapevo che era la sua, lo
venni a sapere dopo, lui non fece scenate, ma ogni volta che mi incontrava
faceva una battutina velenosa nei miei riguardi.
Mark era pieno di soldi, veniva in facoltà
perché altrimenti non sapeva come occupare il suo tempo, era un ragazzo
intelligente, ma preferiva giocare a baseball, stare con le belle ragazze, e
naturalmente non fare esami o perlomeno ne faceva lo stretto necessario. Era un
bel ragazzo con dei bei capelli castani che portava scomposti nel modo giusto,
occhi grigi profondi, una leggera barbetta incolta, una bella bocca sensuale , fisico atletico, avrebbe potuto fare
tranquillamente il modello. Uno di quei ragazzi che facevano girare la testa.
Non dico che io ero immune alla sua bellezza però non sopportavo la sua
prepotenza, sembrava che tutto gli fosse dovuto. Il classico figlio di papà che
era abituato ad avere tutto.
Questa
mattina naturalmente guardavano i pantaloni che indossavo, non erano niente di
particolare però erano molto orientali, quel genere di indumento che indossano
le donne indiane: la stoffa era molto bella ma certamente devo ammettere che
erano molto particolari.
Quando io e Susan ci avvicinammo alla cassa del bar
pe fare l’ordinazione sentii Mark che
parlando a voce alta con i suoi amici diceva: “Forse ha scambiato le sue tende
con un paio di pantaloni” e mentre lo diceva guardava con fare provocatorio
dalla mia parte. I suoi amici ridevano io rossa dalla rabbia senza guardarlo in
faccia replicai: “I miei sono una paio di pantaloni che sembrano una tenda la
tua però è una tovaglia che sembra una camicia”. Facendo riferimento alla
camicia a scacchi che portava addosso. I suoi amici e lui risero e replicò:
“Sempre la risposta pronta eh!” Non aggiunsi altro e con Susan ci avvicinammo al
bancone per prendere le nostre ordinazioni.
Mentre ci spostavamo lanciai uno sguardo di
sfida a Mark che mi fece uno dei suoi sorrisi provocatori e il suo sguardo
diceva chiaramente: “Con me non la spunti!”.
Prendemmo la nostra brioche ed il cappuccino e
ci sedemmo in uno dei tavolini il più lontano possibile da Mark e dai suoi
amici che stavano muovendosi verso l’uscita senza prima aver dato un'ultima
occhiata al mio abbigliamento.
Mi sedetti in una delle sedie facendo un respiro
infastidito e dicendo rivolta a Susan: “Possibile che devono per forza dare
fastidio a chi gli ignora?” Susan saggiamente replicò: “Lo sai che dal giorno
che gli hai fatto portare via il SUV ogni occasione è buona per fartela
pagare.” ”Lo so” risposi “Non è colpa mia se mi danno fastidio i prepotenti che credono di essere i padroni
del mondo, solo perché ha un conto corrente con sei zeri. Non ha mai fatto
fatica nella sua vita, tutti devono essere ai suoi piedi, riverirlo, adularlo,
quanto mi irrita quel tipo.” “E pensare che all’inizio mi stava pure
simpatico! Che sciocca! Ma cambiamo argomento.”
“Allora
Susan hai deciso dove andare in vacanza?” Susan mi guardò col suo sguardo
pensoso e mentre emetteva un lungo sospiro diceva: “Mi piacerebbe andare al
mare, ma non so dove, i miei vogliono portarmi a Rodi io invece vorrei andare
in Italia, mentre Paul vuole andare in Spagna. E’ proprio difficile decidere e
tu?” Io la guardai tristemente e risposi: “Ho tanta voglia di andare in
vacanza, ne ho proprio bisogno, ma i soldi che ho messo da parte mi servono per
andare a Londra e non posso permettermi di spenderli per una vacanza.”
Susan mi guardò e replicò: “Ma non puoi sempre
studiare e lavorare, hai bisogno anche tu di un po’ di pausa, non sei fatta
d’acciaio!” La guardai sconsolata e aggiunsi: “Lo so ti posso garantire che
darei non so cosa per due o tre giorni di pausa, ma non posso permettermelo,
non ora!” Addentai la mia brioche e con tristezza bevvi un sorso del
cappuccino. Quella schiuma densa e soffice nella mia tazza mi faceva venire in
mente la schiuma delle onde del mare, che voglia di prendermi una vacanza, ne
avevo proprio bisogno, ma non quest’anno.
Finimmo di fare colazione poi ci alzammo ed
uscimmo dal bar io per andare a parlare con il mio relatore e Susan a lezione,
dopo esserci scambiate un bacio ci separammo allegramente.
Parlare delle vacanze mi aveva messo malinconia.
Questi erano gli ultimo sforzi, tra non molto mi sarei laureata poi mi aspettava
un anno a Londra dove avrei fatto ricerca per il mio relatore che aveva bisogno
di avere una persona che facesse il topo di biblioteca per lui: a me andava
bene, mi avrebbe pagato un buon stipendio, avrebbe fatto curriculum e poi
andare a Londra era il mio sogno.
Arrivai
ai laboratori, mi avvicinai allo studiolo del prof. Goldreyer e poco dopo
bussai, sentii la voce del professore che diceva avanti e abbassando la
maniglia della porta per aprirla, entrai. Lo trovai assorto a leggere e quando
poco dopo alzò il viso per salutarmi, mi fece cenno di avvicinarmi e mi fece
vedere con orgoglio il manoscritto che aveva tra le mani.
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