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mercoledì 17 dicembre 2014

Nel cerchio magico 6


Le sue mani la cercavano la sfioravano con la mano che stringeva il seno turgido, la bocca che cercava quella di Alva. Mano e labbra a bruciarle la pelle, le labbra sulla sua bocca, la mano nel segreto del suo ventre. Cresceva il languore del suo corpo, si rompevano le ultime resistenze lei gli offrì la bocca, Con quella vertigine che la dominava Alva senza più forza per opporsi alle avances di Tomas.
Fu la voce di Ema che la chiamava che li riportò alla realtà, si staccarono a malincuore e uscendo dall’ombra Alva si fece vedere dalla sua amica che la cercava da tempo. Quando la vide, con il viso pallido le chiese preoccupata: “Alva cos’hai sembri stravolta, cosa ti è successo?” Lei riprendendosi un poco le narrò dell’ubriaco e di Tomas che era venuto prontamente in suo soccorso; in quel mentre si girò per cercarlo ma in lontananza sentì il rumore di un’auto che si allontanava. Era sparito, senza nemmeno salutarla.
Se non fosse per la sensazione che era rimasta nel suo corpo Alva quasi si stava convincendo che aveva sognato quei baci e quelle carezze, ma il languore che le era rimasto le diceva che Tomas era stato con lei. Ora era sparito nel nulla e l’aveva nuovamente lasciata sola con se stessa e con la sua disperazione.
Ritornò con Ema in sala rimasero ancora un poco e poi tutte e due fecero ritorno a casa. Alva era più disperata che mai, non capiva, non sapeva più cosa fare era portata all’apice della felicità e poi bruscamente ritornava nella sua disperazione, sola con se stessa. Non poteva andare avanti così ormai non ci riusciva più.
Era già passato un anno, da quando Tomas le aveva predetto che lei non sarebbe riuscita a combinare nulla in paese. Era passato velocemente e lei oramai usciva per le sue visite da sola senza il dott Salazar, non perché Alva non lo chiamasse, ma perché lui da persona discreta quale era si era messo da parte e le faceva svolgere il suo lavoro con libertà mettendosi a sua disposizione per ogni consiglio, aiuto o informazione di cui Alva avesse bisogno.
         Era già arrivata nuovamente la mietitura dai Rodrigo e Alva non si sarebbe persa per niente al mondo la festa. Aveva in mente un suo piano ben preciso che avrebbe deciso del suo futuro e per nulla al mondo avrebbe mancato questo appuntamento dove c’era tutto il paese.
La festa era sempre molto attesa da tutte le ragazze perché sbocciavano sempre nuovi amori, era una occasione per socializzare, rivedere vecchie conoscenze lavorare tanto ma anche divertirsi.
La giornata era stata bella ma dopo pranzo iniziò a cambiare all’orizzonte si vedevano arrivare alcune nuvole minacciose, ma per la sera quando il temporale si sarebbe scatenato contavano di aver messo al riparo tutti i covoni.
Alva versò metà mattina si accorse che c’era anche Tomas, lo vide in lontananza che lavorava con gli uomini. Quando fu il suo turno di portare da bere o gli spuntini agli uomini, si avvicinò a Tomas e gli fece solo un cenno con il capo però non gli disse nulla lo guardò mentre prendeva da bere e passò oltre. Lui probabilmente si aspettava che lei gli rivolgesse la parola perché in tono ironico disse al suo vicino: “A qualcuno il topo gli ha mangiato la lingua!” Alva si girò nella sua direzione e tirò fuori la lingua in una smorfia e andò oltre parlando con gli altri uomini.
Dopo pranzo tutti assieme si ritrovarono a sistemare i covoni, ormai era tardi e rimaneva poca roba. Alva, vide che gli altri si stavano allontanando e nel fienile era rimasto solo Tomas che si era offerto di sistemare i carri e le attrezzature. Lei non si era fatta vedere e di nascosto salì in cima al fienile dove aveva intenzione di mettere in atto il suo proposito.
Quando vide che nei paraggi non c’era più nessuno ma erano rimasti nel fienile lei e Tomas, dall’alto vide che lui stava sistemando al coperto la catasta di fieno per ripararla dalle prime gocce di pioggia che minacciavano di cadere copiose.
 Lui in quel momento era di spalle e non la vedeva, lei con un balzo e un urlo si lancio sopra il cumulo di fieno accanto a dove si trovava Tomas. Quando sentì l’urlo si giro di scatto, ma nel mentre Alma era già piombata accanto a lui trascinandolo  per terra con il suo balzo. Lei con una mossa veloce fu su di lui e disse: “Ora mi toglierò tutto quello che ho addosso” così facendo incominciò a sbottonarsi la camicetta “
Poi mi metterò a urlare in modo che tutte le persone che sono qui accorreranno” Tomas la guardava stupito senza trovare le parole per dire qualche cosa, mentre le sue mani si posarono sulle sue reni.
Alva lanciò di lato la camicetta e portando le mani dietro alla schiena slacciò il reggiseno che lanciò vicino alla camicetta. Tomas la guardava incantato con un sorriso divertito e Alva incoraggiata dal suo atteggiamento remissivo aggiunse chinandosi su di lui e avvicinandosi al suo orecchio mentre i capezzoli sfioravano il suo petto nudo: “Dirò a tutti che mi hai preso con la forza e così davanti a tanti testimoni sarai costretto a sposarmi”.
Tomas con uno scatto,  eccitato la fece giacere sotto di se. Buttata sul fieno rabbrividì Alva. In quell’istante il fiele si trasformò in miele, di nuovo il dolore sbocciò nel supremo piacere; mai lei fu una giumenta con tanta violenza montata dal suo stallone, una così avida cagna in calore posseduta dal maschio, schiava sottomessa della sua libidine, femmina vagante per tutti i sentieri del desiderio: prati coperti di fiori e di dolcezza, foreste dall’ombra umida e dai sentieri, fino all’ultimo ridotto. Attimo per penetrare tutte le porte più strette e chiuse, attimo di resa per l’ultimo bastione del suo pudore.
Non ancora sazi si allontanarono l’uno dall’altra, ormai il temporale era vicinissimo Tomas guardandola con passione le prese la mano e la fece tirare su dicendole: “Anche se ti preferisco senza niente addosso e meglio che metti questi e mi aiuti a sistemare le ultime cose prima che scoppi il temporale.” Così dicendo le porse con aria maliziosa solo camicia e pantaloni e la biancheria intima la mise nelle sue tasche.
Alva si vestì e lo aiutò a portare dentro gli ultimi covoni proprio mentre iniziavano a scendere i primo goccioloni che divennero sempre più fitti e quando Alva portò dentro l’ultimo oramai era tutta zuppa che le vesti le si erano appiccicate alla pelle.
Quando si ripararono nel fienile lui si accorse che era tutta bagnata la prese per i fianchi e l’avvicinò al suo corpo e con la mano mentre la guardava negli occhi le tormentò il capezzolo che dal freddo era diventato turgido. Lei chiuse gli occhi lasciandolo fare mentre la sua bocca iniziò a baciarla lei con le mai gli accarezzo la nuca. Si staccò da lei e disse a malincuore: “E meglio che andiamo a casa a cambiarci prima di prenderci un malanno.” Mano nella mano arrivarono alla macchina e poco dopo erano a casa di Alva. Lei scese dall’auto poi avvicinandosi dalla parte del guidatore, aprì la portiera e lo fece uscire dicendo: “Ora dici a mio padre che mi vuoi sposare.” Tomas sorridendo la seguì in casa. Quando furono davanti al padre lui molto semplicemente disse: “Antonio voglio sposare tua figlia.”
Il padre di Alva li guardò e sorridendo disse: “Se voi siete felici io non ho nulla da dire.” Tomas la prese per un fianco avvicinandola a lui e guardandola disse: “Se non lo faccio non so cosa è capace di escogitare!”
Quando si ritrovarono soli per la prima volta Tomas le parlò d’amore, di come affamato e assetato la volesse e la desiderasse: in moglie la voleva e la desiderava. E questo per Alva valse a pagare tutto il dispiacere e l’attesa cui era stata costretta senza necessità.

domenica 7 dicembre 2014

La linea d'ombra di Joseph Conrad


 
"V'è qualcosa che si svolge nel cielo, come una decomposizione, una corruzione dell'aria, che rimane più ferma che mai. In fondo, sono soltanto nubi, che possono o no portare vento oppure pioggia, Strano che debbano conturbarmi così. Ho l'impressione che tutti i miei peccati m'abbiano raggiunto. ma forse il problema è solo che la nave non si muove, non risponde ai comandi, e che io non so cosa fare per evitare che la mia fantasia si lanci pazzamente su tutte le più disastrose immagini del peggio che ci può capitare. Cosa succederà? Forse nulla. O qualsiasi cosa. Potrebbe essere una burrasca in cui andiamo a capofitto. E in coperta ci sono cinque uomini con la vitalità, diciamo, di due. Potremmo ritrovarci con tutte le vele spazzate via. Tutte le vele sono bordate da quando salpammo, alla foce del Menam, quindici giorni orsono... o quindici secoli. Mi sembra che tutta la mia vita prima di quel fatidico giorno sia infinitamente remota, memoria che sbiadisce della mia gioventù spensierata, qualcosa al di là di un'ombra. Si, le vele potrebbero benissimo essere spazzate via. E sarebbe per gli uomini come una condanna a morte. Non vi sono a bordo forze sufficienti a tesarne di nuove: pensiero che pare assurdo, ma è la pura verità. Oppure potremmo rimanere disalberati. Molte navi sono state disalberate soltanto perché non erano manovrate con sufficiente prontezza, e noi non siamo in condizioni di bracciare i pennoni. E' come essere legati mani e piedi, pronti perché qualcuno ti tagli la gola. E ciò che mi atterrisce è ch'io evito di andare sul ponte a fare fronte alla realtà. E' un dovere verso la nave, e verso gli uomini che stanno sul ponte, alcuni di loro pronti a radunare i residui di forze a un mio ordine. E io evito di farlo. Rifuggo dalla semplice vista. Il mio primo comando. Adesso comprendo quello strano senso d'incertezza nel mio passato. Ho sempre sospettato che avrei potuto non farcela. Ed ecco la prova sicura. Sto eludendola. Non riesco a farcela. 

venerdì 5 dicembre 2014

Nel cerchio magico 5


Dopo aver sistemato i covoni le ragazze di solito si nascondevano nel fienile per farsi trovare e amoreggiare un po’con i ragazzi; oppure un altro gioco divertente era quello di tuffarsi dal piano alto del fienile sul fieno appena raccolto. Alma lo faceva sempre volentieri, in quel momento aveva visto un bel carro che era stato portato là sotto e senza pensarci tanto prese la rincorsa e si lanciò con un urlo. Proprio in quel momento passava Tomas che non si era accorto che sotto c’era il carro con il fieno e si spavento credendo che Alva sarebbe caduta per terra.

Mentre Alva sdraiata rideva come una pazza vide arrivare Tomas bianco come se avesse visto un cadavere e quando si rese conto che Alva era planata dolcemente sopra il carro di fieno e non per terra come lui si era immaginato, gli montò una tale rabbia che esplose dicendo: “Se non sparisci ti garantisco che ti sculaccio sino a scorticarti.”

 Alva si alzò velocemente stupita della reazione esagerata di Tomas, non riusciva a capire perché se la fosse presa tanto con lei. Mentre raggiungeva gli altri sotto il portico pensava alla reazione che aveva avuto Tomas. Era sbiancato temendo che si fosse fatta male. Allora ci teneva a lei non le era poi così indifferente.

Dopo un po’ lo vide arrivare mentre si abbottonava la camicia. Si sistemo nel punto più lontano da lei, ma la tenne d’occhi per tutta le cena. Mangiarono, circolava tanto vino e quando i suoi amici di tavola iniziarono ad alzare troppo il gomito vide Tomas avvicinarsi a lei , la prese sotto braccio e la portò in un tavolino un po’ più tranquillo.

Alva lo guadava e lui ad un certo punto sbotto: “Cos’hai da guardare?”

Lei con un sorrisetto gli rispose: “In fin dei conti non ti sono poi così indifferente?” lei sorridendo continuò: “Ti sei preso un bello spavento perché credevi che potessi farmi male cadendo?” Lui la guardò torvo e le rispose: “Ti sbagli mi sarei comportato così per qualsiasi altra persona.”

Lei ora inviperita rispose: “Sei un ipocrita bugiardo. Perché non hai il coraggio delle tue azioni?” lui la guardò e non rispose. Lei allora continuò: “Tu non la ami. Non è la donna per te dona Carmela. E’ una persona splendida ma tu non vuoi lei, desideri me come io te.” Lui la guardò e disse: “Non sono la persona che fa per te, ti farei solo soffrire.” Lei urlando gli disse: “Come puoi dire una cosa del genere?”

         Tomas si alzò e dopo averla guardata le disse: “Domani devo alzarmi presto è meglio che vada” Alva cercò di trattenerlo dicendogli: “Mi puoi accompagnare?” Lui scuotendo la testa rispose: “E’ meglio di no!” la salutò e la lasciò sola con una amarezza e una tristezza infinita. Ma come faceva a dire che l’avrebbe fatta soffrire, perché si ostinava in questo atteggiamento. Ma poco alla volta la rabbia ebbe il sopravvento e con tutte le sue forze decise che gli avrebbe dimostrato che non valeva così poco come lui credeva.

Per non pensare a lui si buttò a capofitto sul suo lavoro gli orari non erano mai gli stessi gli poteva capitare di essere chiamata in qualsiasi momento per occuparsi della salute dei piccoli animali domestici; effettuare controlli igienico-sanitari degli allevamenti. A volte veniva chiamata nel parco naturali dalle Guardie forestali per accudire qualche piccolo animale che si era infortunato.

Molto spesso si recavano da lei che prescriveva i farmaci da somministrare agli animali in ragione di determinate patologie; effettuava controlli sugli alimenti di origine animale. Erano tante le richieste che riceveva che non si annoiava per niente.

Il momento che più l’angosciava era quando finiva di lavorare immancabilmente la sua mente iniziava a vagare sempre nella stessa direzione sul letto, un solo pensiero schiacciava Alva, la gettava, dilaniava, contro il fondo di se stessa; mai più l’avrebbe avuto accanto in un tumulto di sentimenti. Quella certezza la penetrava e la stroncava; lama avvelenata le squarciava il petto, le imputridiva il cuore, cancellando il suo desiderio di sopravvivere, la sua gioventù avida di vita. Solo il desiderio la sosteneva. Perché lo aspettava se era inutile? Perché il desiderio divampava come una fiamma, un fuoco che la divorava nell’intimo, che la manteneva in vita.

Ma il suo corpo non si rassegnava e lo reclamava. Bisognava mettere un freno a questo morire giorno per giorno e ogni volta un po’ di più. Il suo corpo tuttavia non si rassegnava e lo esigeva, pieno di disperazione.

 Tomas affascinante con i capelli  ricci scuri, occhi neri profondi e un sorriso canzonatorio. Voleva averlo lì, gemere impudica, venir meno sotto i suoi baci. Ma, ah, bisognava reagire e vivere.

Fu alla festa di Capodanno che lo rivide dopo settimane che non lo incrociava per il paese. Alva non voleva andare alla festa; un po’ perché era molto stanca perché quegli ultimi giorni prima della fine dell’anno erano stati molto frenetici e poi perché non era molto in vena di divertimenti, ma dopo ripetute insistenze si era fatta convincere da Ema ad andare alla festa.

Aveva indossato un abito carina, dopo che durante tutto l’anno portava solo pantaloni camicie ampie e stivaloni molto pratici, si sentiva molto femminile. La festa si stava animando e i partecipando si stavano scaldando buttandosi nella mischia a ballare, anche Alva trasportata dalla musica si era buttata nella mischia. Mentre ballava vide un tipo che non conosceva che la fissava insistentemente. Lei naturalmente non aveva voglia di socializzare quindi non diede retta ai sorrisi che questi le lanciava, anzi cercò di spostarsi per cercare i suoi amici. Trovò Pablo e si mise a ballare accanto a lui.

La temperatura nella sala stava crescendo e la voglia di bere aumentava, Alva, aveva toccato solo del succo non sentiva la necessità di bere anche se una bella sbronza le avrebbe fatto bene per dimenticare un po’ la sua angoscia.

Stanca di ballare decise di uscire fuori sulla terrazza per una boccata d’aria, c’erano altre persone, qualche coppietta che cercava un po’ di intimità: Alva si spostò su un lato e non si accorse che il tizio di prima l’aveva seguita. Notò che era un po’ brillo perché mentre le andava incontro traballava sulle gambe.

Si avvicinò ad Alva e la salutò dicendole: “Ciao bellezza che fai tutta sola?” Alva si scostò dall’uomo perché l’odore di alcol le dava fastidio. Il tizio invece le si avvicinò ancora e cercò di abbracciarla. Alma sorpresa da tanta sfacciataggine lo scostò in malo modo dicendogli: “Ma cosa fai, toglimi le mani di dosso” Lui sempre più sfrontato cercò ancora di abbracciarla e disse: “Non fare tanto la schizzinosa. Sei venuta qui per cercare compagnia” Alva al colmo della rabbia cercò di divincolarsi ma il tizio era molto forte e le impediva di allontanarsi. Alva cercò di urlare, ma non riuscì a farsi sentire e a quel punto inizio ad aver paura, lottava con tutte le sue forze quando si accorse che il tizio venne scaraventato a terra da un pugno che si rese conte più tardi era stato mollato da Tomas che come per magia si era materializzato davanti a lui.

Alva appena lo vide disse: “Tomas!” Lui con il volto truce, la prese violentemente per un braccio e la trascinò giù per le scale e fuori dalla sala lontano da tutti. Quando arrivò vicino alla sua auto le disse irato: “Potresti scegliere in modo più attento i tuoi corteggiatori.” Lei stupita dal tono della sua accuse e arrabbiata per il modo in cui l’aveva trascinata lontano le rispose irata: “Non l’ho scelto io, mi ha seguito.”

Aggiunse ancora: “Ti ringrazio per avermi aiutato ma non hai nessun diritto di apostrofarmi con questo tono.”

Lui la guardò attentamente e si accorse che Alva stava tremando come una foglia. Le si avvicinò e la prese tra le braccia stringendola a se, Alva si abbandonò a quell’abbraccio e sollevando il viso cercò la sua bocca: “Ahi,  Tomas, oh!” e non disse di più nulla, labbra lingua e lacrime masticate dalla bocca vorace ed esperta di lui.

 

lunedì 1 dicembre 2014

Nel cerchio magico 4


Alva ora che era sola con lui stava iniziando ad agitarsi ma cercò di controllarsi anche perché Tomas non sembrava in vena di cordialità.

Gli aprì la portiera dell’auto e mentre gli passo davanti per montare in macchina lo sfiorò e questo contatto provocò su di lei come una scarica elettrica. Anche lui aveva avuto la stessa sensazione perché si ritrasse all’istante.

Montò in macchina accese il motore e partirono. Mentre si dirigevano verso casa lui disse: “Non capisco perché perdi il tuo tempo qui quando potresti benissimo trovarti un lavoro più soddisfacente a Huelva.” Alva stava iniziando a irritarsi e gli rispose scocciata: “Si da il caso che non devo rendere conto a te  quello che faccio. Come ti ho detto qui c’è mio padre e voglio vivere con lui e poi…” Ma non continuò e terminò la frase senza proseguire.

Lui la guardò per un attimo e irato aggiunse: “Ti do tempo un mese e ne avrai sin sopra i capelli di questa gente del paese.”

Lei lo guardò sfidandolo: “ Se nel giro di un mese non me ne vado cosa succede signor tutto so io?” Lui la guardò replicando: “Nulla. Ma ti stuferai. Sei abituata alle comodità della città, alle feste, ai bei negozi, alla gente. Qui l’inverno è noioso; si fanno sempre le stesse cose. L’unica distrazione è una birra da Blanco o qualche festa ogni tanto.”

Alva replicò alle sue osservazioni: “Si vede proprio che non mi conosci. Non credere che a Huelva facessi la bella vita. Comunque ho preso questa decisione e non torno indietro.”

Erano arrivati a casa e Alva scese dall’auto e lo invitò ad entrare: suo padre era ancora alzato e stava facendo una partita a dama con il dottore. Tomas entrò e salutò i due uomini poi parlò con il padre di un pacco che aveva da consegnarli e delle carte che doveva fargli firmare. Alva si era illusa che quella di Tomas fosse stata solo una scusa per accompagnarla a casa in realtà doveva effettivamente parlare con il padre. Non importava.

Quando gli uomini finirono le loro cose Alma si alzò per accompagnare Tomas alla porta.

Lui la guardò e gli domandò: “Sei decisa a rimanere allora?” Alva si spazientì e non poco e rispose ora su tutte le furie: “Si può sapere che fastidio ti do se resto o me ne vado? Non ti preoccupare che non ho intenzione di importunarti.”

Non finì di dire questa frase che Tomas la prese per le spalle e la avvicinò con forza a se e stava per baciarla quando il rumore della porta li fece sobbalzare e si separarono per far passare il dottore che con un sorrisetto gli augurò la buona notte.

Tomas la guardò, poi si girò e seguì il dottore, e senza voltarsi la salutò in malo modo e andò via.

Alva era ancora una volta sconvolta, non sapeva cosa pensare; una cosa era certa non gliela avrebbe data vinta. Lui aveva detto che nel giro di un mese sarebbe fuggita, ma non la conosceva bene. Sarebbe rimasta e avrebbe esercita a Jabugo questo era certo.

Un giorno lei e il dott. Sarazar vennero chiamati a casa della vedova che aveva chiesto al dottore di fare la solita visita mensile al gregge di capre che aveva. Alva era molto curiosa di conoscerla e allo stesso tempo gelosa di vedere la donna che aveva conquistato il cuore di Tomas.

Dopo aver fatto la visita al bestiame, il dottor entrò in casa: una bella casa fresca, quelle di una volta, con un ampio cortile interno, con porticati e loggiati dai quali come una cascata pendevano dei rampicanti; la parte centrale era sistemata a giardino,  con una fontana che rendeva ancora più accentuato il fresco dell’ambiente; la corte interna  era decorata con azulejos  particolari che Alva non aveva mai visto di così belli e rimase a lungo ad ammirarli. Sentì alle sue spalle una voce di donna che le chiedeva: “Belli vero?” Alva si girò e vide una donna non più giovanissima ma che doveva essere stata una donna molto bella. Salutò il dottore con molto calore e poi fatte le presentazione sorrise cordialmente anche ad Alva. “Mio marito era appassionato di azulejos questi sono stati disegnati appositamente dall’arch. Tomas Ribeiro Colaço” disse con orgoglio.

 Li fece accomodare e offrì loro del succo e dei biscotti appena sfornati. Dona Carmela era questo il nome della vedova era una donna pratica, che dalla morte del marito aveva amministrato le sue proprietà non senza difficoltà e quando seppe che Alva aveva intenzione di svolgere la stessa professione del dottor Salazar, le disse: “Sarà dura all’inizio proprio perché sei una donna, ma non ti devi fare intimorire e vedrai che col tempo ti rispetteranno ancor di più” Quelle parole furono di grande conforto per Alva.

Stavano per lasciare la casa quando in soggiorno comparve Tomas che fu sorpreso di vederli lì. Salutò un po’ cupo e rivolgendosi a Dona Carmela disse: “Ho finito, di sistemare.”

Dona Carmela si rivolse a lui e gli disse: “Prendi un bicchiere di succo e qualche biscotto, li ho appena fatti”.  Tomas fece come gli diceva e si sedette in una sedia accanto a lei e di fronte ad Alva.

Scambiammo ancora alcune parole poi dona Carmela chiese al dottore se poteva accompagnarla che voleva fargli vedere una mappa antica. Con quella scusa li lasciarono soli in soggiorno.

Alva non riusciva a restare seduta così si alzò e andò a guardare le belle piante del patio. Poco dopo sentii la presenza di Tomas dietro alle sue spalle: “Come sta tuo padre?” Senza guardarlo rispose: “Bene grazie.”

Lui continuò: “Domani ci sarai alla mietitura dai Rodrigo?” Sempre dandogli le spalle rispose: “Certamente, e tu?” Lui rispose: “Si. Ci sarò”. Poi un po’ spazientito le chiese: “Ti da fastidio guardarmi in faccia?”

Lei irritata si girò e gli rispose: “Si da il caso che quello infastidito sei tu. Non vuoi che rimanga a Jabugo, speri e ti auguri che il lavoro che voglio intraprendere mi vada male, non vedi l’ora che me ne vada.”

Lui irritato rispose: “Dannazione ma non capisci che lo dico per te?” Lei con la rabbia che le stava crescendo rispose: ”Se ti interessasse qualcosa di me capiresti che non posso starti lontano. Non ci riesco. Rimango qui perché ci sei tu.” Lui la guardò e rispose: “Fai male io non sono la persona adatta a te. Meriti di meglio.” Lei quasi con le lacrime agli occhi gli rispose: “Come fai a dire questo, io non voglio nessun altro.” Lui continuò girandole le spalle: “Ho altri progetti. Tu dovresti trovarti un ragazzo che ti ami come meriti.”

Lei si allontano dicendogli: “Sei l’uomo più stupido che abbia mai conosciuto. Ti auguro di essere felice, almeno tu.”

Uscì dalla casa e aspettò il dottore in macchina dove potè piangere in santa pace. Poco dopo arrivò il dottore. Capì che era successo qualcosa ma non chiese nulla,  la portò a casa poi prima di scendere le chiese in maniera discreta: “Tutto bene, hai bisogno di parlare?” Lei le fu grata per averle dimostrato simpatia in quel momento ma disse: “La ringrazio un’altra volta magari si.” Lo saluto affettuosamente ed entrò in casa.

L’indomani avrebbe rivisto Tomas, aveva paura di affrontarlo, ma sapeva che doveva abituarsi all’idea di incontrarlo e probabilmente di trovarlo spostato tra non molto con dona Carmela.

Alla mietitura dai Rodrigo partecipava tutta Jabugo era una festa tutti lavoravano o portando da mangiare ai mietitori o sistemando i covoni belli in ordine o facendo altre cose. Si mangiava, beveva, cantava, ma si lavorava tanto sempre ridendo.

Alva arrivò con le sue amiche molto presto poi lì trovarono gli amici del bar: la mattina si facevano i caffe da distribuire prima di iniziare a lavorare. Poi le donne andavano in cucina a preparare il pranzo per gli uomini, a turno portavano gli spuntini a base di panini bibite e vino, poi si preparava il pranzo e tutti si fermavano per mangiare tutti attorno ad una tavolata che non finiva più. Nel pomeriggio altri spuntini a base di frutta e bibite fresche, poi tutti uomini e donne sistemavano i covoni e per concludere la giornata cena per finire tutto il cibo che era stato preparato e si andava avanti oltre la mezzanotte e più.

Nel cerchio magico 3